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«Attanasio non ha ucciso mio fratello da solo»

COSENZA «Volete sapere perché non hanno denunciato la mia scomparsa? Perché quando denunciammo quella di mio fratello Damiano non servì a niente. Non ci aiutò nessuno, anzi finimmo ad essere noi i co…

Pubblicato il: 26/03/2018 – 17:23
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«Attanasio non ha ucciso mio fratello da solo»

COSENZA «Volete sapere perché non hanno denunciato la mia scomparsa? Perché quando denunciammo quella di mio fratello Damiano non servì a niente. Non ci aiutò nessuno, anzi finimmo ad essere noi i controllati». Luigi Galizia imputato del duplice omicidio di Ida Attanasio ed Edda Costabile, sorella e madre di Francesco Attanasio che uccise Damiano Galizia e che sconta la pena dell’ergastolo, non si sottrae alle domande dell’accusa. Finisce con le sue dichiarazioni, qualche lacrima di commozione e tre agenti della polizia penitenziaria che lo sorvegliano la fase dibattimentale del procedimento che si è celebrato nella Corte d’Assise del tribunale di Cosenza. «Sono sempre stato convinto di una cosa. Francolino (chiama così l’assassino di suo fratello) non ha fatto tutto da solo. Della morte di Damiano si sono occupate più persone». E sì, perché, la morte delle donne uccise nel cimitero di San Lorenzo del Vallo si collega per forza di cose alla morte di Damiano Galizia e al ritrovamento di un arsenale di armi in un box di Rende che veniva gestito da Francesco Attanasio ma che aveva in uso lo stesso Damiano Galizia. Le indagini sull’omicidio che si è consumato ad aprile non possono essere isolate dal duplice omicidio di ottobre, vuoi per le persone coinvolte vuoi per le conseguenze investigative che hanno condotto alla persona di Luigi Galizia come unico sospettato e processato.

IL 30 OTTOBRE 2016 Molti testimoni, al banco a loro riservato, hanno raccontato la mattina in cui il piccolo paese di San Lorenzo del Vallo è diventato scena del crimine. Luigi Galizia la scandisce e cerca di difendere la sua posizione. Le lancette segnano le 9.30 e lui racconta di essere uscito. «Sono arrivato al bar – dice – ho preso un caffè e poi sono andato al cimitero alla tomba di mio fratello». La visita al cimitero sarebbe durata poco. Troppo fresco il dramma. «Sono ritornato al bar e ho chiamato un mio amico con cui quasi sempre gioco a carte. Non era al bar quindi l’ho aspettato –prosegue –. Ho raggiunto la sala dove di solito si gioca a carte, c’erano delle persone che conoscevo tra cui mio padre e lì è iniziata la nostra partita». Le lancette scorrono e, consegnate le carte, l’imputato racconta di essere uscito dal bar alle 10.10. Si è messo in macchina: avrebbe dovuto raggiungere sua cognata che però, riferisce durante la dichiarazione, aveva dormito a casa di un’amica. «Dopo circa 300 metri mi sono ricordato questa cosa e sono tornato indietro al bar». Ritornato al bar del paese, dopo circa 10 minuti Morena, sua cognata, è arrivata. «Il bambino dormiva, ci siamo solo salutati, poi lei è andata via. Morena è la sorella che non ho mai avuto. Ci sentivamo anche 50 volte in un giorno». Alle 10.23 l’ultima chiamata: è sempre lei, lo avvisa che si sta dirigendo a Cassano. Perché non glielo abbia riferito di persona rimane un punto interrogativo, il pm Giuliana Rana lo ha chiesto più volte ma con scarsi risultati. E nel frattempo arrivano i carabinieri, il cimitero è perimetrato come scena del delitto e alle 10.20 il custode chiama il 118 per un disperato tentativo di salvataggio delle donne.

LA “LATITANZA” Arrivano le prime voci al bar. «Ho agito da stupido. Mi sono messo nella mia macchina e l’ho abbandonata a 500 metri da casa mia. Mi sono liberato un giorno dopo del telefono e dei documenti. Avevo paura, erano settimane che mi sentivo seguito, ma non ho fatto denuncia. Ho raggiunto la casa del mio “compare” di cresima e ci sono rimasto per cinque giorni». In questi giorni di rifugio dal mondo esterno l’imputato ha raccontato di essere uscito al massimo due volte e di aver mangiato delle cose che aveva portato lui quando usava spesso quella casa. Un piacere tra amici, nonostante la casa non fosse il massimo, era pur sempre uno spazio per ritagliarsi un po’ di intimità. «Ho agito così solo perché avevo paura. Passati i cinque giorni ho raggiunto casa mia a piedi e ho raggiunto i carabinieri, mio padre e mio fratello mi hanno detto che mi cercavano».

IL DEBITO «Mio fratello Damiano era fatto così. Se una persona aveva bisogno di soldi ed era in difficoltà lui non si tirava indietro. Di tanto in tanto sono andato anche io a riscuotere dei soldi che lui aveva prestato». Francesco Attanasio a Damiano Galizia chiede 17mila euro. Li riceve, secondo quando racconta il fratello, ma non senza titubanze. Stava per nascere un figlio. «Ad oggi il debito rimane, ma non sapremo proprio a chi chiederli questi soldi. Mi ricordo che Attanasio propose una pistola a mio fratello per estinguere parte del debito». L’amicizia tra i due era “fraterna”, ricorda Luigi Galizia. «Aveva coinvolto mio fratello nell’acquisto di due appartamenti, ogni tanto riceveva l’affitto, altre volte no, gli abbiamo chiesto i documenti – continua l’imputato – ma non li abbiamo mai visti». Con la deposizione dell’unico imputato si chiude il dibattimento, nelle prossime udienze i magistrati della Procura di Castrovillari formuleranno le richieste e la difesa concluderà, prima della sentenza, il primo grado di giudizio.

Michele Presta
redazione@corrierecal.it

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