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Pd, l’assemblea si aggiorna: la data del congresso non c’è

LAMEZIA TERME L’assemblea del Pd è un flusso di (cattiva?) coscienza continuo, così impellente da sovvertire il programma della vigilia. Dopo quattro ore di discussione, la nomenclatura dem non trova…

Pubblicato il: 26/03/2018 – 21:36
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Pd, l’assemblea si aggiorna: la data del congresso non c’è

LAMEZIA TERME L’assemblea del Pd è un flusso di (cattiva?) coscienza continuo, così impellente da sovvertire il programma della vigilia. Dopo quattro ore di discussione, la nomenclatura dem non trova la quadra. E dunque, niente data del congresso. Alla fine passa la mozione Guccione sul rinvio: se ne riparlerà il 4 aprile, quando l’assemblea tornerà a riunirsi e – dopo aver dato la possibilità di intervenire a quanti non sono riusciti a farlo oggi – fisserà il giorno della nuova assise per la scelta del segretario. Nella stessa occasione sarà convocata la Direzione regionale (probabilmente il 7 aprile) che avrà il compito di nominare la commissione che si occuperà di stabilire le regole per il congresso.

LA DISCUSSIONE In un noto hotel di Lamezia si rivede, per la prima volta dall’inizio della legislatura, tutto lo stato maggiore del partito. Ci sono tutti: il governatore Oliverio, il segretario uscente Magorno, il suo probabile successore, Demetrio Battaglia; il sindaco di Reggio Falcomatà, i neo deputati Viscomi e Bruno Bossio, il presidente di Palazzo Campanella Irto, Nicola Adamo, Sebi Romeo, Bruno Censore. Sorpresa generale nel vedere Guccione, malgrado Oliverio lo abbia “sbattuto fuori” dalla maggioranza in consiglio regionale. Ecco Peppe Neri, Demetrio Naccarli Carlizzi, Ciccio Sulla, Mario Franchino, Enzo Ciconte, Elisabetta Tripodi. È un rendez vous che potrebbe trasformarsi in un redde rationem. Non succede: la resa dei conti non si concretizza. Diventa reale, invece, ed è dolorosa, l’analisi del voto del 4 marzo e le sue conseguenze per un partito che, a detta di tutti, «rischia di scomparire», o di diventare «irrilevante», a seconda dei punti di vista.

MAGORNO: CONGRESSO INIZIA OGGI A dare fuoco alle polveri è il segretario uscente, Magorno, il cui (lungo) intervento alternerà ammissioni di colpa a frustate rivolte alla classe dirigente del Pd. Su una cosa il neo senatore non indietreggia: la volontà di convocare il congresso, che «inizia ufficialmente oggi».
Magorno non esita a togliersi tanti sassolini dalle scarpe: «Il mio mandato è scaduto il 23 febbraio e non sono, dunque, un dimissionario. Mi sono rifiutato di essere “congelato” per portare il partito al congresso. Chi vuole le dimissioni, vuole una sede vacante e il commissario».
L’ormai ex segretario è convinto che il congresso serva per ricostruire un Pd che oggi ha solo due alternative: «O il congresso o la mortificazione del commissariamento». Individua anche il periodo più adatto per celebrarlo, Magorno: metà di giugno, al massimo entro la fine dello stesso mese. «Sono pronto a discutere la data – puntualizza – ma non l’indizione del congresso. Chi non lo vuole, lo dica adesso e chieda il commissariamento, senza riempire la rete e le redazioni di analisi autoassolutorie».

NO A RESA DEI CONTI Per Magorno non si tratta di una resa dei conti, anche perché «io non sarei mai stato in grado di dire quello che su di me è stato detto in questi anni». Piuttosto, si tratta di prendere atto di risultati elettorali che «chiamano in causa tutta la classe dirigente».
«In tutte le regioni perdenti – spiega ancora – i segretari sono stati “congelati”, invece io mi sono assunto la responsabilità del disastro elettorale. È colpa del segretario regionale se abbiamo perso il 4 marzo e se abbiamo perso a Lamezia, Vibo e Catanzaro. Non ho alcun merito per la vittoria alla Regione e a Reggio. Ma le sconfitte sono solo di chi ha guidato il partito? E le classi dirigenti dove sono? Nessuno sente il dovere di fare autocritica? È conveniente ricorrere allo scaricabarile rimpallando responsabilità che sono anche proprie?». Il senatore insiste con le domande retoriche: «Credete – dice rivolto all’assemblea – che il 14% ottenuto in Calabria parli solo di Magorno? O non contiene invece il fallimento di una classe dirigente disattenta?».
La parte finale dell’intervento è dedicata alla giunta: «Ho sostenuto il governatore Oliverio con lealtà, a differenza di chi non è mai riuscito a superare le contraddizioni congressuali. Per quel che mi riguarda, non ho mai ottenuto il riconoscimento che io, invece, ho da subito dato a Oliverio. Il nuovo segretario non dovrà quindi dividere, come me, ma unire. Il giudizio su Oliverio era e resta positivo, ma serve un radicale cambio di passo nell’amministrazione regionale». Ma non è un attacco al governatore, anzi. Magorno è dell’idea che la disponibilità di Oliverio a ricandidarsi «è un atto di grande responsabilità».



OSTILITÀ L’ex sindaco di Diamante dice di aver «pagato l’ostilità della stampa», un prezzo pagato «anche dalla mia famiglia, da mia moglie e finanche da mia figlia. Hanno tentato di demolirmi, ma non ci sono riusciti». Poi le accuse al suo partito: «Non è stato facile guidare il Pd dopo un commissariamento che ha fatto più danni della bomba di Hiroshima. Fino alla fine sono stato un generale che ha avuto uno stato maggiore che conduceva battaglie di retroguardia, in un gioco politico che vedeva schieramenti l’un contro l’altro armati. In questo partito ci si sente nemici, e le liti ci hanno impedito di pensare a organizzare il Pd».
Ora spetta alla classe dirigente dem «proporre il progetto che non sono stato capace di proporre io» e di «trovare quella sintesi che io non sono stato capace di realizzare. La comunità democratica è attesa da tante sfide e sarà in grado di affrontarle».

GLI AVENTINIANI La discussione entra nel vivo. I dirigenti che prenotano il loro interventi sono decine e decine. Guccione non riuscirà a parlare, ma a margine dell’assemblea consegna il suo pensiero, che si riassume in questa frase: «Il voto ha recapitato un avviso di sfratto a questo governo regionale». E ancora: «Se continuiamo così, rischiamo davvero di non giocarci la partita alle prossime elezioni regionali. Si tratta di avviare un processo che ci permetta di verificare se ci sono le condizioni affinché il Pd possa nascere. Questo sarà possibile solo se non ripetiamo i vecchi riti e se apriamo una fase costituente per verificare questa disponibilità».
Brusco l’esordio di Naccari Carlizzi: «Non possiamo fare un richiamo alla collettività quando il nostro modello di partecipazione è stato escludente, peggiore di quello di Putin». Per l’ex assessore regionale la priorità è «fare un congresso subito, per rimettere in moto un sistema che finora ha favorito la desertificazione». Un iter che dovrà essere preceduto da una «fase costituente». Naccari propone inoltre un nuovo regolamento che «modifichi il sistema della partecipazione» e che preveda anche la consultazione degli iscritti e la presa d’atto «del fallimento della nostra proposta politica, altrimenti non potremo proporre una piattaforma nuova e usciremo altre debacle alle europee e alle regionali».
«Il Pd rischia di scomparire, dobbiamo trovare le ragioni per resistere». Questo l’appello di Franco Laratta, convinto che i dem abbiano bisogno «di politica vera, non di un congresso farsa». L’ex parlamentare si dice anche contrario a una giunta tecnica, «perché la politica deve metterci la faccia o i cittadini ci cacceranno a calci». Infine, la proposta per la guida del partito: «Il segretario regionale non sia nessuno di noi».

VISCOMI: IL CORAGGIO DELLA VERITÀ A giudizio di Viscomi il Pd corre il rischio di svolgere «una mera rappresentazione selfistica: un partito che si guarda senza comprendersi». L’assemblea è però anche un’«opportunità», a patto di riuscire a «riprendere un discorso che si è interrotto tra noi e il resto del mondo». Per farlo, bisogna ripartire dal «coraggio della verità, dal parlare chiaro e dal pensiero lungo». Il Pd deve insomma «tornare a essere il luogo di un pensiero collettivo», dove ciò che conta non è «conquistare il partito, ma riconquistare gli elettori».

BRUNO BOSSIO E FRANCHINO Durissime le parole di Mario Franchino: «La relazione di Magorno è inadeguata e non tiene conto di ciò che è successo: non è stata una sconfitta, è stata una catastrofe. Se tutto il partito calabrese fosse stato convocato mesi fa, forse avremmo perso di meno. È necessario azzerare tutto».
Il segretario provinciale cosentino, Luigi Guglielmelli, sottolinea che il problema «è più grande di Magorno e di Guglielmelli: il voto calabrese è in linea con quello italiano e del Mezzogiorno, ed è maledettamente omogeneo». Non manca un riconoscimento al segretario uscente: «Magorno ci lascia un partito in grado di decidere il suo futuro». La deputata Bruno Bossio racconta di una «settimana dolorosa» vissuta nel tentativo di «elaborare il lutto» della sconfitta elettorale: «C’è stato un rifiuto nei nostri confronti e dobbiamo chiederci perché».
Il commissariamento dovrà essere evitato anche a parere del presidente della Provincia di Catanzaro, Enzo Bruno: «Sarebbe l’azzeramento della democrazia».
Sulla stessa lunghezza d’onda il consigliere regionale Michele Mirabello: «Il congresso va fatto subito, non a giugno». Il nodo sarà affrontato il 4 aprile. L’assemblea si aggiorna.

Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it



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