Tutti i “non ricordo” di Berlusconi – VIDEO
REGGIO CALABRIA «Mi deve scusare presidente, ma durante il volo io e i miei collaboratori abbiamo avuto qualche problema alle orecchie e rischio di non sentire bene le vostre domande». Esordisce co…

REGGIO CALABRIA «Mi deve scusare presidente, ma durante il volo io e i miei collaboratori abbiamo avuto qualche problema alle orecchie e rischio di non sentire bene le vostre domande». Esordisce così Silvio Berlusconi nell’aula bunker di Reggio Calabria, dove questa mattina è stato chiamato a testimoniare a difesa del suo ex ministro dell’Interno e delle Attività Produttive, Claudio Scajola, attualmente imputato a Reggio Calabria con l’accusa di aver aiutato l’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, a sfuggire ad una condanna per mafia e ad occultare il suo immenso patrimonio.
COLPA DELL’AEREO, MA A DIFETTARE È LA MEMORIA Scortato dal suo avvocato (e parlamentare) Niccolò Ghedini, da un plotone di uomini della sicurezza e da un’assistente ancor più feroce di loro nel tenere cronisti e telecamere lontani dall’ex premier, arriva in aula bunker dall’ingresso riservato a magistrati e pentiti, entra in aula con fare sicuro, legge la formula di rito, sorride e – al netto delle difficoltà d’udito – si mostra disponibile a rispondere alle domande che legali e pubblica accusa sono costretti a scandire e ripetere più volte. Ma il più delle volte, la risposta è la medesima: non so, non ricordo, non saprei dire di chi sta parlando. Di molti dei protagonisti della complicata trama di relazioni che, secondo quanto emerso dall’inchiesta Breakfast, è stata tessuta per permettere e agevolare la fuga di Matacena, Berlusconi non ha memoria. Anzi, dice, anche Matacena sa a stento chi sia.
MATACENA NON LO CONOSCO «Evidentemente non è mai stato un protagonista della nostra parte politica, il suo nome – dice l’ex premier, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – mi è praticamente sconosciuto». Parlamentare nel ’94, all’epoca Matacena è il padrone del traghettamento fra Reggio e Messina, in Parlamento si è fatto notare per una serie di velenose interrogazioni sui magistrati della città calabrese dello Stretto, in quegli anni impegnati nelle prime maxi-inchieste antimafia e generalmente non veste neanche in maniera troppo sobria. Per Berlusconi però non esiste. «Non saprei dire nulla né delle sue attività legislative, né di quelle imprenditoriali» sostiene. Per lui, il suo ex deputato è un fantasma. Ma per il suo partito, all’epoca no.
NEL CASO, CHIEDETE A SCAJOLA Grazie ai clan, dice una sentenza definitiva, Matacena era un grande portatore di voti. E quando un’inchiesta per mafia lo travolge, la sua mancata ricandidatura– ha ricostruito l’inchiesta Breakfast, oggi sfociata nel processo che vede Scajola imputato – è un problema che coinvolge i massimi vertici di Forza Italia. Ed in particolare, l’allora coordinatore del giovanissimo partito, sulle cui spalle Berlusconi si affretta a scaricare ogni responsabilità. «Tutto passava da Scajola, che era il coordinatore nazionale di Forza Italia», spiega.
ISTRUTTORIA Le candidature erano proposte a livello regionale e poi passavano al vaglio del nazionale, dove una squadra si occupava di verificarne l’idoneità. «In caso di candidati provenienti dai giovani di Forza Italia o dal femminile, si faceva un’istruttoria, a volte anche approfondita. Ma quando si trattava di personaggi noti, come un amministratore delegato o un giornalista noto, di un quotidiano nazionale, ci si limitava a chiedergli una relazione».
NON SIAMO I GRILLINI Per chi ambiva al secondo mandato, lo screening invece si svolgeva solo sulle attività nelle Camere di competenza. E in caso di problemi con la giustizia? «C’erano dei criteri, ma non siamo come il movimento Cinquestelle, per i quali basta una situazione di vicinanza alla magistratura perché si decida di escludere un candidato. Noi avevamo delle regole secondo cui, in caso di rapporto di un possibile candidato con la magistratura, toccava ai nostri legali approfondire la questione. Nel caso di una multa comminata o in itinere per far escludere qualcuno». Nel caso di Matacena però, non sa, non sa dire.
IL SOTTOSEGRETARIO CANCELLATO Sono passati tanti anni. E del suo ex deputato oggi latitante, Berlusconi non sembra conservare ricordo alcuno. Ma non è il solo. Anche Giuseppe Pizza, che durante l’ultimo governo Berlusconi è stato sottosegretario all’istruzione, sembra essere stato completamente cancellato dalla memoria del premier. Unico detentore legale del simbolo della Democrazia cristiana in seguito ad una lunga battaglia legale, Pizza è anche il proprietario di uno dei più importanti salotti di Roma, dove si sono accomodati molti dei protagonisti del caso “Matacena”, come Speziali e Gemayel, ma anche della vecchia e nuova politica, come Gugliemo Epifani, ospite del sottosegretario proprio il giorno della sua elezione a segretario del Pd ed Emo Danesi. Allontanato dal partito socialista perché piduista e massone, Danesi è un vecchio arnese della politica, sopravvissuto alla bufera di Tangentopoli e tornato a galla come imprenditore e “consulente” quando le acque si sono calmate. Ma anche lui, nonostante la comune radice politica, per Berlusconi è uno sconosciuto.
OBLIO LIBANESE Allo stesso modo, assai labile è il ricordo che l’ex premier dice di avere di Amin Gemayel, ex presidente libanese ricevuto a palazzo Grazioli su sollecitazione di Scajola e per l’accusa “garante” del tentativo di trasferire il latitante Matacena in Libano. «Solo controllando le agende mi sono reso conto di averlo ricevuto a colazione» sostiene l’ex premier, che tuttavia non sembra avuto remora alcuna nell’accoglierlo nella sua residenza romana in un periodo per nulla facile. Con l’Italia sull’orlo del default, Berlusconi aveva da poco dato le dimissioni, il suo partito gridava al golpe mentre gli italiani iniziavano a proprie spese a capire cosa fosse lo spread. «Ma io ero il numero uno della politica e il numero uno dell’imprenditoria, quindi in tanti ci tenevano a conoscermi» dice Berlusconi. «Alla luce della presenza di Scajola suppongo sia stato lui a sollecitare l’incontro» sostiene l’ex premier.
CONSIGLI INTERNAZIONALI Certo, all’epoca Scajola non era più il plenipotenziario coordinatore di Forza Italia. Una serie di inciampi giudiziari avevano rallentato la sua ascesa politica e avevano ridotto le sue quotazioni politiche all’interno del partito, ma evidentemente aveva ancora delle carte da spendere se è vero che è grazie a lui – o almeno così sostiene l’ex premier – «che ho ricevuto questo signore, Gemayel, al mio desco». Argomento della discussione? Anche in questo caso Berlusconi ne ha solo un ricordo vago. «Gemayel voleva ricandidarsi alla presidenza del Libano ed era interessato a conoscere gli argomenti da me utilizzati in campagna elettorale». E poi dice «voleva avvicinarsi alla mia grande famiglia della democrazia europea di cui Forza Italia fa parte, il partito popolare». Tuttavia, Berlusconi non ne conserva un gran ricordo. «Non ricordo alcuna particolare individualità» afferma l’ex premier.
CHI È SPEZIALI? E se dell’ex presidente libanese ha solo un vago ricordo, nessuno Berlusconi ne conserva del proconsole italiano del politico libanese, quel Vincenzo Speziali che sognava una candidatura in Forza Italia ed è nipote dell’omonimo ex senatore Pdl, Vincenzo Speziali senior, anche lui cancellato dalla memoria dell’ex premier. «Qualche tempo fa, questo signore mi ha mandato una email, dicendo di essere coinvolto in un procedimento penale, ma assicurando – su non so bene quali basi – che ne sarebbe uscito pulito e pronto a tornare a fare politica con Forza Italia, ma io non ho nessun ricordo di lui», dice Berlusconi riferendosi a Speziali jr, che di recente ha patteggiato un anno di pena per l’accusa di aver favorito la latitanza di Matacena in Libano.
CEDRI AMARI Una destinazione tornata a più riprese al centro delle domande rivolte a Berlusconi, che tuttavia del paese dei cedri sembra quasi non voler sentir neanche parlare. «Non ho mai avuto a che fare con il Libano e non conosco nessun politico libanese» ci tiene ad evidenziare l’ex premier. «Non so chi sia l’ex premier Hariri o il generale Aoun» aggiunge su sollecitazione del procuratore Lombardo. E forse non a caso. Per il padre padrone di Forza Italia, il Libano in fondo rimane un tasto dolente. È lì che è stato arrestato da latitante quello che per anni è stato il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri.
UNA SCIOCCHEZZA COLOSSALE «Da lui – dice Berlusconi interrogato – non ho mai avuto comunicazione della sua volontà di andare in Libano. Ma mi è sempre sembrato difficile pensare che la decisione di andare lì fosse attribuibile alla volontà di fuggire perché c’era un trattato di estradizione». Anzi, sottolinea, «mi sembra una cosa di una stupidità assoluta pensare che quella fosse una fuga». A meno che Dell’Utri, a differenza di Berlusconi, non ricordasse che il trattato con il Libano non è valido per i reati di mafia. Ma anche su questo punto l’ex premier non ricorda o non sa dire.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it