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La ferocia delle donne nella faida delle Preserre: «Gli devono tagliare i cannarozza»

Dall’inchiesta che ha portato al fermo di sette persone nel Vibonese emerge il ruolo delle sorelle Inzillo, che volevano a tutti costi vendicare il fratello ucciso

Pubblicato il: 09/04/2018 – 15:18
La ferocia delle donne nella faida delle Preserre: «Gli devono tagliare i cannarozza»

VIBO VALENTIA «… Questo va tolto per prima dai piedi … gli devono tagliare i cannarozza». A palare è Viola Inzillo sottoposta a fermo lunedì mattina, insieme ad altre sei persone di Sorianello, nel Vibonese, accusate, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi, tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Sono le donne a fomentare gli animi alla vendetta, ad imbracciare le armi e spingere alla carica contro gli esponenti della rivale famiglia Nesci, legata al clan Loielo. Gli agguati al centro della faida sono quelli dell’estate 2017: il primo, a giugno, costò la vita a Salvatore Inzillo, 46 anni, fratello di Viola, vicino al clan Emanuele (rivali storici dei Loielo). A luglio seguì il tentato omicidio di Alessandro Giovanni Nesci, 27enne di Sorianello, raggiunto da alcuni colpi di pistola mentre si trovava a percorrere a piedi una via del centro storico in compagnia del fratello 13enne, affetto da sindrome di down. Ma la vendetta per la morte del 46enne andava consumata e qualcuno dei componenti della famiglia Nesci doveva pagare con la vita. Aizzati da anime feroci come quelle delle due sorelle fermate lunedì, Viola e Rosa Inzillo, gli uomini del clan, come ha spiegato in conferenza stampa il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, «si stavano organizzando per uccidere». E questo nonostante, ha specificato il capo della Squadra Mobile di Vibo, Giorgio Grasso, sapessero di essere monitorati poiché avevano ritrovato le microspie che li ascoltavano e nonostante la costante presenza sul territorio di Sorianello degli agenti di polizia e del reparto di Prevenzione crimine con lo scopo di dissuadere gli indagati dall’agire. In una occasione il piano non sarebbe riuscito, hanno constatato gli investigatori, perché gli assalitori sarebbero stati scoperti dalla parte avversa. Una tensione continua, «un intervento assolutamente non dilazionabile», ha affermato il questore di Vibo Filippo Bonfiglio riferendosi ai sette fermi che hanno portato in carcere Vincenzo Cocciolo, Antonio Farina, Michele Nardo, Giuseppe Muller, Domenico Inzillo e le sorelle Viola e Rosa Inzillo. Otto mesi di indagine, oltre cento uomini impiegati tra Squadra mobile di Vibo Valentia e del commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio centrale operativo di Roma e del Reparto prevenzione crimine di Vibo Valentia.
ARMI E PASSAMONTAGNA Una situazione storicamente insita nell’area geografica delle Preserre vibonesi ma che ha trovato un momento acuto di tensione in una serie di episodi delittuosi avvenuti nei mesi scorsi. «È emersa una tensione che veniva alimentata in maniera possiamo dire spettacolare dalle figure femminili di questa indagine. Inzillo Rosa e Inzillo Viola alimentavano questo odio verso Giovanni Alessandro Nesci, considerato responsabile dell’omicidio di Inzillo Salvatore, e verso gli appartenenti a quella famiglia. Una tensione che si alimentava quotidianamente e che aveva portato al reperimento di armi e munizioni occultate e addirittura al ritrovamento dei passamontagna che in più occasioni sono stati sequestrati e che servivano per consentire lo svolgimento delle attività delittuose», ha spiegato il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri. Il fermo si è reso necessario all’indomani del ritrovamento, da parte degli indagati, delle microspie che li monitoravano e in seguito, anche, al ritrovamento di immobili disabitati usati per l’occultamento di armi. Esigenze di sicurezza ma anche il pericolo di fuga alla base del provvedimento cautelare. «Tutta questa vicenda noi la colleghiamo alla “faida delle Serre” – ha spiegato Bombardieri – che ha visto come protagoniste le famiglie Loielo ed Emanuele». «In questo occultamento delle armi e in questa volontà omicidiaria, un ruolo di rilievo, preme sottolinearlo, è stato svolto dalle donne. Peraltro una delle due, Viola Inzillo, era stata arrestata in seguito al rinvenimento di un’arma anche se all’epoca l’autorità giudiziaria di Vibo non ha ritenuto sussistenti gravi indizi in relazione a quel rinvenimento di armi. Oggi riteniamo di aver raggiunto quella gravità indiziaria che all’epoca non era stata ritenuta dall’autorità giudiziaria. E anche per quel reato la donna è stata fermata», ha concluso l’aggiunto.
ARMI NELLA BIANCHERIA INTIMA «È sempre stata costante la sensazione che le persone indagate volessero a tutti i costi vendicare i fatti di sangue che avevano subito», ha ribadito Giorgio Grasso. La mamma di Rosa e Viola Inzillo, una donna molto anziana, era stata addirittura coinvolta nell’occultamento di una pistola all’interno della biancheria intima con la convinzione, da parte delle figlie, che nessuno l’avrebbe mai perquisita. Il tenore del desiderio di rivalsa da parte delle due sorelle ha portato a captare affermazioni come: «In questa famiglia le donne dovrebbero essere gli uomini e gli omini dovrebbero essere le donne». Due fucili sequestrati, di cui uno a carico di Viola Inzillo, e un altro occultato all’interno di un tubo dell’ex acquedotto di Sorianello, nella boscaglia. Gli investigatori hanno appurato l’organizzazione di un nuovo tentato omicidio verso esponenti della famiglia Nesci. C’è stato anche un tentativo di agguato, nel corso del quale si erano organizzati nel riciclare una vettura nel tentativo di depistare le indagini.
POTENZIARE IL TERRITORIO «Quasi ogni settimana ci stiamo incontrando a Vibo Valentia – ha sottolineato il procuratore Gratteri – questo non è un caso ma l’inizio della realizzazione di un progetto partito da un anno e mezzo. Abbiamo tre sostituti della Dda sulla provincia di Vibo, e abbiamo delle risposte concrete da parte della Polizia di Stato che di recente ha mandato sette nuovi ispettori. Il questore ha inviato tutti e sette alla Squadra mobile di Vibo Valentia. Questo è importante per un duplice aspetto: perché ha rafforzato la Squadra mobile ma, soprattutto, ha dato un messaggio sull’importanza e delicatezza della provincia di Vibo, ad altissima densità mafiosa, che necessita di tutte le risorse disponibili. Ci sono focolai di faide che hanno costellato la storia degli ultimi 10 anni di questa provincia. Dobbiamo concretamente rispondere e prevenire. Come nel caso di oggi».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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