Se c’è un punto debole nel dibattito che si è aperto sulla esperienza del Comune di Riace e del suo sindaco Mimmo Lucano è che l’aspetto economico-gestionale è stato finora sottratto all’attenzione dell’opinione pubblica, puntando tutto l’interesse sul conflitto politico che riguarda la filosofia di fondo del modello messo in piedi nel piccolo paese jonico.
Le ripetute ispezioni ministeriali e prefettizie lasciano intravedere sullo sfondo chissà cosa, una gestione del denaro pubblico oscura, sottratto alla possibile comprensione dei semplici cittadini mentre, in realtà, i dati, se pure quelli grezzi, sono alla portata di tutti, pubblici e con il marchio del ministero dell’Interno.
Questi dati hanno il pregio di permetterci alcune considerazioni sul modello del welfare di comunità calabrese, un sistema mai nato e che sconta, come tutte le cose calabre, infuocati dibattiti ma zero soluzioni.
Nel 2000 il Comune di Riace destinava a spese per le politiche sociali 6.170 euro; nel 2016 la somma è stata di 2.775.156 euro.
Dal punto di vista statistico Riace è dunque il Comune calabrese con la spesa procapite per politiche sociali più elevata di tutta la regione (e forse d’Italia), 1.178 euro quando la media regionale è di appena 29,5 euro, la più bassa in Italia dopo la Campania e quella italiana di 87,5 euro.
Bisogna capire se questo è un merito o un demerito in una regione in cui nel 2016 il 55% dei Comuni fa registrare a bilancio somme per le politiche sociali pari a zero o assolutamente insignificanti per pensare all’attivazione di un qualsivoglia servizio strutturato e continuo. Una tendenza oramai stabilizzata che consegna da tempo la nostra regione ai margini del settore e priva di un abbozzo di welfare di comunità.
Certo le somme sono considerevoli. Dal 2010 – anno che può essere considerato di svolta dal punto di vista dei trasferimenti per il piccolo paese reggino – al 2016 parliamo di un totale di poco oltre i 16 milioni di euro, una media annua di 2,3 milioni di euro. Somme che possono fare gola in qualunque realtà ma sono comunque il segno di una intuizione che è stata positiva.
A leggere i bilanci consuntivi del Comune di Riace si scopre, quindi, che un piccolo ente si trova ad amministrare somme per le politiche sociali annue pari a quelle del Comune capoluogo di regione e lo fa fin troppo bene pur disponendo di una struttura amministrativa microscopica.
Lo fa sapendo di dover rispondere ad una burocrazia che è spesso oscena, insensibile, ottusa, cinica, priva di senso, che contraddice se stessa, defatigante.
La capacità di spesa media degli ultimi sette anni è stata di oltre l’80% con punte del 99% nel 2013 e del 95% nel 2016.
Non sono numeri. Sono il segno che le somme trasferite sono spese per intero e tutte nello stesso anno. Certo il dibattito si può sempre spostare sul come, sulla dipendenza assoluta di un modello dai trasferimenti correnti, su una certa difficoltà di produrre qualcosa di autonomo. Ma sulla circostanza che le somme siano state utilizzate non ci sono dubbi.
Se tutti i Comuni della Calabria tenessero i conti così, almeno in termini di trasparenza e velocità di spesa, probabilmente saremmo salvi.
Se la vicenda di Riace è l’occasione per rimettere al centro dell’azione pubblica il tema del welfare municipale e regionale forse non ci arrenderemo alla circostanze di continuare ad avere il peggiore sistema regionale in cui le politiche sociali sono viste come un costo e non come un investimento e un obbligo della Repubblica.
*Sociologo
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