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«Che fine avrà fatto Berlusconi?»

di Antonino Mazza Laboccetta*

Pubblicato il: 09/07/2018 – 7:57
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«Che fine avrà fatto Berlusconi?»
Che fine avrà fatto Berlusconi? Dopo la brillante campagna elettorale orientata a contenere l’avanzata del Movimento 5Stelle, nonché a strappare il primato nell’ambito della coalizione del centro-destra, Silvio Berlusconi ha visto progressivamente appannarsi la sua stella. Uscito dalla ribalta mediatica a seguito del famoso «passo di lato» (il Nostro notoriamente non è uomo aduso al «passo indietro»), con il quale ha dato il benestare e, quindi, l’abbrivio all’esecutivo penta-leghista, Berlusconi parrebbe costretto ad una forzata immobilità, proprio quando la riabilitazione concessagli dal Tribunale di sorveglianza di Milano gli restituisce un certo spazio di agibilità politica. La sua forte esposizione in campagna elettorale non è valsa né a contenere l’avanzata pentastellata né ad impedire che si consumasse ai danni di Forza Italia il temuto sorpasso della Lega di Salvini. Digerito, con molti fastidi e non pochi strascichi, il primato della Lega all’interno del centro-destra, Berlusconi ha giocato la sua partita all’interno degli stretti margini nei quali l’aveva cacciato il risultato elettorale. E ha tentato di far valere nei confronti di Salvini un certo potere di interdizione, che ricavava in massima parte dalla “forza” della coalizione. Forza spendibile sul piano della trattativa politica anche da Salvini, e quindi utile alla Lega. Non bisogna dimenticare che il centro-destra ha superato i 5Stelle come coalizione. Come partito, la Lega è uscita dalle elezioni del 4 marzo con un risultato di molto inferiore a quello conseguito dai grillini. Insomma, è chiaro che l’ancoraggio della Lega all’interno del centro-destra le dava peso nel dialogo diretto alla formazione del governo. Su questo legame della Lega con il centro-destra, necessitato per forza di cose, Berlusconi ha esercitato il suo potere di interdizione, cercando garanzie da parte dell’ingombrante alleato. Garanzie, com’è facile immaginare, sul terreno della giustizia e delle telecomunicazioni. Le cose sono andate poi diversamente, perché alla Giustizia è approdato un grillino e la delega sulle telecomunicazioni è stata tenuta da Di Maio. Formatosi il governo Conte, non si è più sentita la voce di Berlusconi. Il suo silenzio è assordante, ma è un fatto neutro. Senza dubbio, può essere ascritto ad una certa difficoltà. Ma può essere anche indicativo di un processo di ripensamento e di riposizionamento in atto in Forza Italia. D’altronde, conoscendo la storia politica dell’Uomo, possiamo dire che egli è come un leone: quando è ferito, può essere ancora più pericoloso, perché capace di zampate inaspettate. E guai poi a darlo per morto (politicamente, s’intende)! Quand’anche lo fosse, Berlusconi è come l’Araba Fenice, capace di risorgere dalle proprie ceneri. In passato, qualcuno l’ha dimenticato, e ne ha pagato le conseguenze. Detto questo, Salvini ha voluto e vuole rimanere dentro il (o ancorato al) centro-destra non solo perché ne ricava la “forza” della coalizione, ma perché coltiva un pensiero più lungo: quello di fagocitare l’elettorato di Forza Italia. Se diamo un’occhiata ai sondaggi, Forza Italia è in picchiata, mentre la Lega (nazionale) è data come primo partito, davanti agli stessi grillini, che dopo il 4 marzo scontano molte défaillances. Dovute ad una serie di ragioni, tra le quali la più importante è legata all’identità del partito/movimento, divisa in due anime: l’una governativa/moderata, l’altra movimentista/di sinistra. Identità che non deriva dalla piattaforma politico-culturale con cui i grillini si sono inizialmente presentati alla pubblica opinione (piattaforma interamente riducibile al potentissimo big-bang del “VAFFA” urlato nelle piazze), ma solo dallo scontento generalizzato della “gggente”. Dal quale Grillo ha saputo pescare a strascico, a destra e a manca, con riflessi evidenti sulla chiarezza programmatica (e, quindi, sull’identità) grillina. E la pesca a strascico condiziona ora il progetto politico-culturale e l’azione di governo dei 5Stelle, dopo averli portati lungo tutto l’arco costituzionale a cercare alleati (o contraenti) per la formazione del governo. Gli esiti li scopriremo vivendo. Tornando a Salvini, l’obiettivo di annettere alla Lega (nazionale) l’elettorato di Forza Italia crea tensione nel partito azzurro. Partito del quale Berlusconi è, al tempo stesso, forza e debolezza. Forza perché Berlusconi degli azzurri è il collante e il leader (più o meno) riconosciuto. E debolezza perché, senza Berlusconi, Forza Italia cambierebbe fisionomia. Sarebbe, insomma, un’altra cosa. Né Berlusconi è riuscito ad individuare, pur tra i numerosi sforzi, il suo autorevole e ideale successore (sarà pure dietrologia, ma, quando nel 2010 Renzi fece visita a Berlusconi in quel di Arcore, il Cavaliere ne rimase impressionato: «mi piace», disse, anche perché non è comunista, ma democristiano. E poi, come il Cavaliere, Renzi è molto comunicativo, e accattivante. Ha appeal. La storia, però, nonostante il patto del Nazareno, ebbe un altro corso). Produce tensione, l’obiettivo di Salvini, perché all’interno di Forza Italia c’è una componente, riconducibile al governatore ligure, Giovanni Toti, che spinge per la costituzione di un partito unico tra Lega e Forza Italia a vocazione maggioritaria e di governo, cementato da un elettorato in gran parte sovrapponibile. A chi gli rimprovera di essere la quinta colonna della Lega, Toti addita il pericolo di un Salvini al doppio o al triplo di Forza Italia e risponde che la quinta colonna è quella di chi «sta a guardare l’orizzonte sperando che l’onda non lo centri». La resistenza di Berlusconi è dovuta al fatto che il profilo moderato di Forza Italia, specie nell’attuale situazione (italiana e internazionale) di tensione economico-sociale, rischierebbe di essere appannato, se non cancellato, a tutto vantaggio della Lega nazional-populista. Berlusconi teme che il progetto di Toti dia la stura ad un’OPA ostile della Lega, che finirebbe per annettere Forza Italia – fino a farla scomparire – al partito di Salvini. In linea con la resistenza di Berlusconi, sembrerebbero andare talune operazioni dirette a preservare l’autonomia e la tradizione di Forza Italia. In questa chiave va letto l’esperimento che si è consumato nell’ultima tornata amministrativa in Liguria, dove Claudio Scajola, a dispetto delle pendenze giudiziarie di Reggio Calabria, ha spuntato ad Imperia il 52% dei suffragi al secondo turno contro il candidato Lanteri, espressione del progetto Toti. Sbaglia chi vede lo scontro tra Scajola e Lanteri come un’operazione meramente “locale”. Scajola è un cavallo di razza del berlusconismo, e, ingaggiando con le sue liste civiche lo scontro con il candidato del governatore della Liguria, Toti, ha voluto lanciare una sfida all’interno del centro-destra (e all’interno della stessa Forza Italia), da replicare sul piano nazionale. Non a caso, all’esito della (ri)conquista del Comune di Imperia, ha detto: «Non c’è più il centro-destra: esiste un governo Lega-5Stelle che non farà bene al Paese. Io ho unito il civismo di vari orientamenti. Imperia può essere esempio per il Paese». Intanto, Berlusconi guarda alle europee. E proprio su di lui Tajani, cui il Cavaliere ha affidato il compito di risollevare le sorti del partito, sembrerebbe voler puntare per preparare Forza Italia al momento nel quale il governo Salvini-Di Maio, presieduto da Conte, dovrà gettare la spugna per l’impossibilità di sostenere finanziariamente il notissimo «contratto». Il quadro, nonostante il silenzio di Berlusconi, è, dunque, in movimento. La partita non sarà facile per nessuno. Ma certo è che non si può governare un Paese solo sull’onda delle emozioni, delle ansie, delle paure della “gggente”. A furia di infiammare gli animi, finiranno per bruciarsi gli stessi incendiari. Se è così, Forza Italia potrebbe diventare per Salvini il canale necessario a domare la pira, quando questa sarà diventata troppo violenta.

*docente dell’università “Mediterranea” di Reggio Calabria

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