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Così il “cartello” monopolizzava gli appalti a Corigliano
Le intercettazioni dell’operazione “Accordo comune”. La preoccupazione di alcuni funzionari dell’amministrazione per i controlli della Finanza. E la connivenza di altri dipendenti con le “ditte amich…
Pubblicato il: 14/07/2018 – 13:32
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COSENZA «Perrone! Ovunque c’è Perrone… cimiteri… tutto!». Nella captazione telefonica della Guardia di finanza, a pronunciare queste parole è Tiziana Montera. La responsabile del settore Lavori pubblici del comune di Corigliano viene intercettata dalle fiamme gialle nel corso delle indagini per l’operazione “Accordo Comune”. Perrone, insieme a Filippelli e Benincasa è considerato il “dominus” del cartello di imprese messo in piedi per monopolizzare il mercato degli appalti (lo abbiamo raccontato qui). Per il gip che ha disposto la custodia cautelare in carcere di cinque imprenditori, la frase della funzionaria pubblica è utile a capire quale meccanismo operasse all’interno del comune di Corigliano Calabro.
Nei lavori Perrone – secondo quanto riportato dal giudice – si inserisce con i metodi del sub appalto che viene «più o meno mascherato» da sub contratti di comodo. E questi metodi di cessione del lavoro sono solitamente il nolo dei mezzi, il distacco del personale o la fornitura di materiale edile. Come riferito dal procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla nel corso dell’incontro con la stampa, nella cittadina ionica le ditte facevano i soldi soprattutto puntando sulle gare di appalto che riguardavano i lavori di decoro urbano. Piazza Salotto, per esempio, nelle intercettazioni veniva citata spesso. E non solo per le panchine pagate tre volte più del dovuto, ma anche per tutti i lavori di riqualificazione dell’area. «Praticamente tutti i progetti dove c’è Perrone sono stati sequestrati – dice la Montera a un uomo –. Mo’ questo l’aspetto. La vicenda proprio piazza Salotto e di là se tu vedi la relazione che hanno mandato i tecnici a fare il sopralluogo, sono stati interrogati dalla guardia di Finanza, quindi non ci dobbiamo “fissiare” sulla cosa». «Tu lo sai benissimo chi c’è dietro», replica un uomo non identificato dagli inquirenti.
«Siamo d’accordo – continua la dirigente –. Però sulla via Alfieri la Finanza pure attenziona, tant’è che li ha interrogati a quelli che hanno fatto il sopralluogo, le loro nella relazione lo dicono, per cui noi adesso dobbiamo, non dobbiamo dare adito al fatto che in qualche maniera… Allora adesso tu devi andare a trovare niente di meno a fare un altro affidamento di servizi a ad un’altra ditta per apparare sto casino. Non è sostenibile proprio, quindi vedete come dovete fare però deve uscire tutto da qua». Gli scambi di battute permettono ai finanzieri di collegare come le tante ditte che fanno parte del cartello illegale delle imprese in realtà facciano riferimento a un unico centro di interessi. Se a vincere l’appalto è Antonio Perrone, capita che i lavori finiscano alla Jonica Asfalti di Damiano Perrone, che partecipa alla società con un 25%. La Procura di Castrovillari contesta il reato di concussione ai dipendenti comunali che nella vicenda rivestono il duplice ruolo di affidatari e controllori. Si mettono d’accordo per i lavori, in base alla documentazione d’indagini, per poi eclissarsi nella fase di controllo. È quello che succede a Cosimo Servidio e Giuseppe Vito Sammarro, ai quali il pubblico ministero contesta il reato di abuso di ufficio. Nello specifico a incastrare i due, sarebbero ancora alcune intercettazioni telefoniche, dalle quali emergerebbe la connivenza con i Perrone ai quali sono stati affidati dei lavori di bitumazione. «Però – dice il geometra Sammarro – te la vieni a prendere questa carta o no?». «Sì, ma il lavoro non è mio», replica l’imprenditore. «Ma è a nome di tuo figlio». «No no» insiste ancora Damiano Perrone. Lo scambio di informazioni tra i due termina solo quando il geometra comunale specifica la zona. «Ma come no è quello di Mandria del Forno, Perrone Antonio è». Il riferimento al cantiere sblocca la conversazione: «Ah Mandria del Dorno tieni ragione, tieni ragione» conclude Damiano Perrone decisosi ad andare a recuperare la carta. E del coinvolgimento del dipendente comunale nell’intera vicenda la Procura evidenzia la conversazione con il figlio di Damiano Perrone, Antonio, che riceve una telefonata in cui Giuseppe Vito Sammaro gli dice che è necessario fare un cartellone dei lavori ed esporlo perché un funzionario della Regione ha fatto un sopralluogo e non lo ha visto. «Prepara sto cartellone altrimenti revocano il finanziamento».
I VASI COMUNICANTI TRA IMPRESE Tra le imprese del cartello c’era un accordo non solo sugli appalti ai quali partecipare, ma anche sul come dividere utili e risorse. Secondo gli inquirenti la disponibilità di timbri aziendali, alcuni modelli pre-compilati e altri incartamenti, altro non sarebbero che la cristallizzazione del sodalizio illegale messo in piedi con il cartello. «Per camuffare l’impresa che realmente gestisce l’appalto – scrive il gip –, le imprese ricorrono a distacchi di operai contro le norme di legge». E questo è quello che succede anche nell’episodio di bitumazione della strada di Giannone così come in altre. «Sammarro e Servidio (a cui è contestato il reato di abuso di ufficio, ndr) in qualità di direttori dei lavori – scrive il giudice – stante l’urgenza autorizzavano Calabria Strade srl a svolgere lavori anche al sabato e richiedevano all’imprese di dimostrare di possedere personale dipendente da utilizzare in cantiere». Proprio questa richiesta è per il giudice sintomo di “malafede” degli indagati. Proprio il giorno prima della conclusione dei lavori, infatti, Emanuele Gradilone (amministratore della Calabria Strade) produceva unilav falsi perché i dipendenti appartenevano a Damiano Perrone. Il tutto per dare una parvenza di regolarità.
Michele Presta m.presta@corrierecal.it
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