Nell’inchiesta della Dda di Catanzaro portata a termine oggi dalla Polizia di Vibo hanno avuto un ruolo decisivo anche le dichiarazioni del primo pentito del clan Mancuso. È una collaborazione storica, quella avviata da pochissimo dal 30enne Emanuele Mancuso, che potrebbe quindi aver già cominciato a dare i suoi primi frutti. Figlio di Pantaleone “l’Ingegnere”, boss catturato nell’agosto del 2014 mentre cercava di attraversare il confine tra Brasile e l’Argentina, Emanuele Mancuso è in carcere dal marzo scorso perché coinvolto in un’operazione contro i Soriano di Filandari, un clan storicamente avverso proprio ad alcune articolazioni degli stessi Mancuso. Qualche mese prima del suo arresto il neo pentito aveva optato per il rito abbreviato in un processo che lo vede accusato di detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti, e il suo nome è stato accostato anche a una coltivazione di 10mila piante di canapa indiana scoperta nelle Preserre vibonesi.
Il rampollo del clan si troverebbe oggi detenuto in un carcere del Centro Italia destinato ad “ospitare” collaboratori di giustizia, e il suo recente pentimento, se le sue dichiarazioni risulteranno credibili in sede giudiziaria, potrebbe rappresentare per gli inquirenti un grimaldello molto utile a scardinare i meccanismi interni di uno dei clan di ‘ndrangheta più potenti della Calabria.
s. pel.
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