SAN FERDINANDO È iniziata la militarizzazione dell’area di San Ferdinando. Per lo sgombero del ghetto, previsto per mercoledì all’alba, sono stati mobilitati oltre 900 tra agenti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, uomini del genio guastatori dell’esercito, vigili del fuoco, personale dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria con ambulanze. Uno schieramento imponente, quasi in rapporto 1 a 1 con i braccianti ufficialmente presenti nell’area.
L’aut aut della Prefettura, che nelle scorse settimane ha tentato di far spostare gli aventi diritto in Cas e Sprar, non ha avuto molto effetto. Nonostante gli agenti del commissariato di Gioia Tauro, con i sindacati confederali, la Caritas e Medu a dare man forte, per giorni abbiano tentato di convincere i più a spostarsi, molti dei braccianti hanno declinato l’offerta. Le strutture individuate sono lontane e per i lavoratori è impossibile raggiungere i campi. Risultato, da dati ufficiali nell’area ci sono ancora circa 1200 persone.
Da programma, mercoledì dovrebbero essere tutte convinte, o in caso di resistenza obbligate, a lasciare il ghetto, quindi spostati in una non meglio specificata area, dove saranno identificati dagli agenti del dipartimento immigrazione e smistati in due gruppi. I potenziali beneficiari di accoglienza, da indirizzare verso Sprar e Cas, e i richiedenti asilo, molti dei quali con protezione umanitaria (cioè coloro che a causa del decreto sicurezza da Sprar e Cas sono stati buttati fuori) e i titolari di permesso di lavoro da alloggiare tra la “nuova tendopoli” e un nuovo attendamento messo in piedi di fronte al vecchio ghetto.
Tra la pianificazione e la realtà però – quanto meno secondo le informazioni ufficiali – c’è un “buco nero”. Primo, a norma di legge, i braccianti non possono essere obbligati ad entrare in strutture di prima e seconda accoglienza, sono persone libere e regolarmente presenti sul territorio nazionale. Ma allo stato, non sembra che il rifiuto sia previsto, né cosa possa succedere in quel caso. Secondo, da conti e programmi rimangono fuori in molti. E per loro nessuna soluzione è stata prevista.
In ogni caso, quanto meno ufficialmente, nessuno si aspetta resistenze o disordini. Tuttavia – specificano fonti istituzionali – «tra i mezzi che verranno schierati anche alcuni con idranti che entreranno in azione solo in caso di proteste massicce». Di certo, qualora dovesse succedere, nessuno potrà documentarlo perché «alla stampa è riservata una zona di rispetto, ma appena le condizioni di sicurezza lo permetteranno gli operatori e i giornalisti potranno accedere all’ area dello sgombero accompagnati dalle forze di polizia. Gli accessi saranno garantiti e organizzati secondo le direttive del dirigente di Polizia preposto, presente sul luogo ed al quale le SS.LL. dovranno rivolgersi».
OLIVERIO: «SIA UN’OPERAZIONE DI CIVILTÀ» Intanto, fanno sapere dall’ufficio stampa della giunta regionale, ieri (domenica 3 marzo) una delegazione dell’esecutivo regionale guidata dall’assessore alle Politiche sociali Angela Robbe si è recata a San Ferdinando. Qui ha incontrato il sindaco Andrea Tripodi ed ha svolto un sopralluogo nella baraccopoli avendo anche un confronto con il prefetto, Michele Di Bari. «L’obiettivo degli incontri – si legge nella nota – è stato di acquisire tutti gli elementi sulla modalità di attuazione dell’abbattimento della baraccopoli a seguito di ordinanza emanata dal sindaco di San Ferdinando già nell’ottobre del 2017 e reiterata nei giorni scorsi».
«L’abbattimento della baraccopoli – ha dichiarato il presidente della Regione Mario Oliverio – è stato un obiettivo da noi posto da sempre ed in particolare nel corso delle numerose riunioni svolte nell’arco del 2018 presso la Prefettura di Reggio Calabria; ciò per essenziali ragioni di civiltà e di rispetto dei diritti umani dei migranti ricoverati. Purtroppo c’è voluto il dramma delle morti per accelerare una decisione che andava e va accompagnata con azioni concrete in grado di trovare soluzioni abitative dignitose e civili».
«In tal senso – ha evidenziato ancora – abbiamo sempre espresso piena disponibilità a concorrere concretamente alla soluzione del problema con la messa in campo di risorse e proposte organizzative. La Giunta regionale ha predisposto e formalizzato in Prefettura, per ultimo in data 17 gennaio 2019, un progetto integrato in grado di intervenire sul lavoro nero in agricoltura, sulla lotta al caporalato, sul sostegno alle amministrazioni della Piana di Gioia Tauro per la gestione dei servizi, su una rete di trasporti, sulle politiche abitative, sulla costituzione di ‘un polo sociale integrato’ ed, anche, con la disponibilità di acquisto e installazione presso le aziende agricole interessate di moduli abitativi di 4 posti letto».
«Queste proposte restano in campo – ha rimarcato Oliverio – e le strutture della Giunta regionale stanno continuando a lavorarci affinché l’abbattimento della baraccopoli sia accompagnato da concrete ed adeguate soluzioni in grado di evitare la ricostituzione di ghetti abitativi». «Mi auguro – ha concluso – che le operazioni di abbattimento della baraccopoli siano un atto di civiltà e che, pertanto, vengano condotte in un clima positivo e nel rispetto delle persone».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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