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«Nessun sospetto su Ristorart». Il Tar Toscana annulla l'interdittiva antimafia

I giudici amministrativi cancellano il provvedimento. Il subappalto alla ditta coinvolta nell’operazione della Dda Jonny concesso con il “permesso” della Prefettura (e molto prima del blitz che por…

Pubblicato il: 21/03/2019 – 16:46
«Nessun sospetto su Ristorart». Il Tar Toscana annulla l'interdittiva antimafia

CATANZARO Il Tar Toscana ha annullato l’interdittiva antimafia che era stata inflitta alla società Ristorart Toscana srl. E, nello stesso provvedimento, ha condannato, anche, la Prefettura di Prato al pagamento delle spese di giudizio. Ristorart, società che gestisce il servizio di ristorazione nella Cittadella regionale e nell’Azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro incassa una sentenza – firmata dai giudici amministrativi Rosaria Trizzino (presidente), Riccardo Giani e Nicola Fenicia – nella quale si specifica che nel provedimento della Prefettura non sono «rappresentanti elementi sintomatici che consentano di evincere l’influenza anche indiretta delle organizzazioni mafiose sull’attività della società ricorrente». Il nodo della questione era un subappalto affidato, nel servizio di refezione del Cie di Isola Capo Rizzuto, a una società il cui socio unico «è risultato coinvolto in procedimenti di criminalità organizzata» (l’operazione Jonny, contro le cosche del Crotonese). Una scelta che i magistrati non considerano né irrazionale né anti-economica, bensì motivata dal fatto che «nel periodo in considerazione», Ristorart «era in procinto di iniziare il servizio mensa presso un importante ospedale calabrese, così che preferì limitare il proprio impegno nel servizio presso il Cie di Isola Capo Rizzuto, conservando solo una percentuale del servizio stesso relativa alle prestazioni nel fine settimana». Cosiderazioni, queste, «che non appaiono inattendibili e che quindi portano ad escludere la fondatezza del giudizio della Prefettura sulla scelta di subappaltare come “anomala e contraria alle normali logiche commerciali”». All’epoca, tra l’altro, la società successivamente finita nel mirino dell’antimafia, non era “sospetta”, anche perché «era gestore uscente e gestore di servizio mensa presso la Questura». Oltretutto la concessione del subappalto era stata autorizzata dalla Prefettura di Crotone il 6 ottobre 2016 e «solo in data 15 maggio 2017 la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro trasmetteva il decreto di fermo a carico» dell’imprenditore legato ai clan «cui faceva seguito la richiesta di risoluzione del subappalto da parte della ricorrente e la revoca dell’autorizzazione al subappalto da parte della Prefettura». Dunque «non vi sono evidenze circa la conoscenza da parte» di Ristorart «del coinvolgimento» della ditta affidataria del subappalto «in rapporti illeciti prima della comunicazione della Dia».
Non valgono a capovolgere le argomentazioni del ricorso neanche le intercettazioni telefoniche presentata a supporto dell’interdittiva. Tant’è che, scrivono i giudici, «la Prefettura, nel valutare detta intercettazione, si limita a segnalare il tono confidenziale della conversazione stessa, mentre non risultano altri elementi significativi».
RISTORART: «ASSURDA VICENDA» «La sentenza del Tar Toscana (n.401/2019) fa proprie le argomentazioni dei nostri legali Saverio Sticchi Damiani e Mauro Giovannelli», scrive la Ristorart in una nota, su «un’assurda vicenda che ci ha visti etichettati con disinvoltura come prestanome dei clan Arena e Nicoscia. La notizia dell’annullamento dell’interdittiva non giunge inaspettata né per noi interessati né per la quasi totalità dell’opinione pubblica», «ma resta, comunque, molto gradita anche, se a prevalere oggi, non è solo il successo giudiziario, bensì l’amarezza per i posti di lavoro persi in questi otto mesi e per quelli non avviati dopo la sospensione di nuove iniziative imprenditoriali che erano in partenza. Ad ognuno le più opportune riflessioni». «A ciò – conclude la nota – aggiungiamo il travaglio umano e familiare perché non esiste offesa peggiore per uomini onesti di essere accostati ingiustamente ad ambienti mafiosi; accusa per la quale non ci si può dare pace. Abbiamo sempre creduto e continuiamo a credere nelle Istituzioni ma auspichiamo, come cittadini di uno Stato di diritto, che quanto accaduto a noi non si ripeta più ad altri, colpevoli solo di essere nati e di aver fatto impresa, anche, in Calabria».

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