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«Comuni "sciolti", serve un approccio laico»

di Antonino Mazza Laboccetta*

Pubblicato il: 28/04/2019 – 16:11
«Comuni "sciolti", serve un approccio laico»

Argomento che suscita molto dibattito, quello dello scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose. Dibattito dai toni ora accesi ora pacati. Certo è che il tema è delicato, non foss’altro perché il potere di scioglimento incide pesantemente sugli organi elettivi, espressione della sovranità popolare. E, tuttavia, non possiamo nascondere che la sovranità popolare, se riportata dall’empireo, nel quale si trova, al livello delle nostre lande, è condizionata, com’è normale che sia, dalle dinamiche socio-economiche e, in generale, dalle umane vicende. Non è normale, però, che la sovranità popolare venga influenzata dalla criminalità organizzata. E che la criminalità organizzata influenzi il processo politico nelle varie fasi in cui esso si articola, è un dato difficilmente confutabile. Lo influenza nella fase della selezione della classe politica, lo influenza nel momento delle elezioni, lo influenza nel momento delle decisioni politiche, lo influenza nel momento in cui le decisioni politiche si fanno azione amministrativa. Si può discutere sul grado di diffusione del controllo criminale in questo o in quel comune, ovvero sull’esistenza di comuni in cui la presenza criminale non sia in grado di alterare il processo di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi al punto tale da imporre la misura “straordinaria” dello scioglimento. Esisteranno pure isole felici, ma sulla pervasività del fenomeno criminale c’è poco da discettare. Proprio perché pervasivo, il legislatore l’ha voluto affrontare disegnando nel tempo strumenti repressivi sempre più raffinati, che talvolta arrivano a sacrificare, a vantaggio della sicurezza, altri valori costituzionali di pari rango. È così pervasivo il fenomeno criminale da disincentivare gente onesta e competente che volesse pure impegnarsi nella cosa pubblica a rifluire nel proprio privato. Con la conseguenza di consegnare al palcoscenico della politica solo alcuni capitani coraggiosi, onesti e competenti, e però anche tanta, troppa, gente di scarso livello culturale ed etico che vive la cosa pubblica come occasione di carriera.
La norma
I numerosi casi di scioglimento dei consigli comunali danno luogo ad un dibattito che mette in discussione il potere di scioglimento. È un dibattito che, tuttavia, non deve prescindere dalla norma che ci ha consegnato il legislatore. Mi riferisco, ovviamente, all’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Non di rado il dibattito riflette una parziale lettura della norma, soffermandosi cioè sul comma 1, quello che prevede che «[…] i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando […] emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori […], ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica».
La norma, appena citata, rappresenta l’esito di un procedimento, molto articolato, che muove da un’attività di indagine condotta dal prefetto competente per territorio, in forza dei «poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministero dell’interno» (comma 2). L’attività di indagine porta ad una relazione che il prefetto invia al Ministero dell’interno, «sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio». La relazione «dà conto dell’eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale». La norma prevede espressamente che la relazione debba indicare «gli appalti, i contratti e i servizi interessati da fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica». Addirittura la norma consente al prefetto di «richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’art. 329 del codice di procedura penale [per intenderci, quello che prevede il segreto degli atti d’indagine], comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento» (comma 3).
Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’interno, previa deliberazione del Consiglio di ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia. Il decreto è immediatamente trasmesso alle Camere. La proposta di scioglimento indica «in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento» (comma 4).
Procedimento articolato, come dicevamo. La relazione prefettizia giunge all’esito di un’attività di accertamento, ed è condivisa dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica, che, in deroga all’obbligo del segreto degli atti d’indagine, può fornire informazioni rilevanti. E lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, all’esito di un procedimento complesso che vede coinvolto, oltre al Ministero dell’interno, il Consiglio dei Ministri e le Camere.
Il sindacato giurisdizionale
Come tutti gli atti amministrativi, il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale non si sottrae al sindacato giurisdizionale. Al giudice amministrativo spetta verificare se vi siano i presupposti di legge per lo scioglimento. E la giurisprudenza, giudicando sui singoli casi concreti, non sempre offre soluzioni conformi, com’è fisiologico. Fisiologico in questa materia, fisiologico in materie altrettanto delicate.
E, tuttavia, la giurisprudenza ci consente di riflettere sulla finalità e sulla natura del potere di scioglimento.
Come precisato dalla Corte costituzionale (19 marzo 1993, n. 103), il potere di scioglimento è diretto ad evitare che il permanere dei consigli comunali e provinciali alla guida delle comunità degli enti locali possa recare ad esse pregiudizio, ed è esercitato in presenza di situazioni di fatto che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive. Risultanze obiettive – precisa ancora il giudice delle leggi – che non coincidono con fatti penalmente rilevanti e che non possono nemmeno essere condizionati dall’esito di eventuali procedimenti penali. Quella dello scioglimento è misura di carattere non sanzionatorio o repressivo, ma preventivo, finalizzata com’è a salvaguardare l’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata. Tant’è che lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa può avvenire anche dopo l’avvenuto scioglimento per dimissioni, specie quando queste siano successive alla nomina della commissione d’accesso: le dimissioni sarebbero un modo per eludere l’indagine prefettizia (Cons. St. Sez. III, 22 giugno 2018, n. 3828).
È in questa logica che trovano giustificazione i margini di apprezzamento, particolarmente ampi, di cui gode l’amministrazione, e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni (in questi termini Cons. St. Sez. III, 22 giugno 2018, n. 3828). Sussistono i presupposti per lo scioglimento anche quando emergano «situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, giacché in tal caso sussisterebbero i presupposti per l’avvio dell’azione penale o, almeno, per l’applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità».
Tuttavia, la stessa giurisprudenza che, ai fini dello scioglimento, ritiene sufficiente il mero valore indiziario di taluni elementi – anche quando non lo sia ai fini dell’avvio dell’azione penale -, considera quella prevista dal menzionato art. 143 «misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria». Un’emergenza così straordinaria da indurre il legislatore ad apprestare una forma di tutela avanzata in situazioni ambientali in cui il controllo e l’ingerenza criminale sono sì fortemente pervasivi, ma non fino al punto da imporre l’intervento penalistico.
La discrezionalità è ampia perché involge valutazioni complesse, che richiedono la ponderazione di valori costituzionali diversi e di pari rango: da un lato, la sovranità popolare, e, dall’altro, la libera e uguale partecipazione di tutti alla vita civile, sociale, economica, nonché il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione pubblica. È ampia anche perché il dato normativo ancora il presupposto dello scioglimento non alla sussistenza di prove certe (vi sarebbe, in questo caso, rilievo penale), ma ad elementi univoci e coerenti che inducono a ritenere possibile il condizionamento mafioso.
A fronte di tale discrezionalità, il sindacato del giudice amministrativo non può che essere estrinseco, caratterizzato cioè dal controllo sulla correttezza logica del processo decisionale dell’amministrazione (adeguatezza dell’istruttoria, non travisamento dei fatti, non contraddittorietà, congruità e proporzionalità della misura). Né si può chiedere al giudice di esprimere una valutazione sul singolo episodio che forma la catena degli elementi posti a base del provvedimento di scioglimento, poiché il suo sindacato non può che avere ad oggetto l’insieme degli episodi e degli elementi che, in un dato contesto ambientale, lasciano presumere condizionamenti e collegamenti mafiosi. In altri termini, il singolo episodio può non dire nulla, se non riguardato nell’insieme degli elementi che compongono il quadro istruttorio. Un quadro dal quale deve, però, emergere in maniera consistente, cioè fondata su elementi concreti, univoci e rilevanti, l’influenza della criminalità organizzata sugli organi dell’amministrazione locale.
Cosa diversa è la mala gestio amministrativa. Un insieme di episodi che riveli cattiva gestione nell’ambito degli appalti, dei contratti, dei servizi è altro rispetto all’influenza criminale. È semplicemente incapacità gestionale. Quindi, un fatto politico e amministrativo, che esorbita dall’ambito applicativo dell’art. 143. Come fatto politico lo sanzioneranno gli elettori nella successiva tornata elettorale. Come fatto amministrativo lo censurerà davanti agli organi giurisdizionali competenti chi ne rimanga leso.
Via i politici? E la macchina amministrativa?
C’è chi dice che lo scioglimento dei consigli comunali porta via i politici, ma lascia in sella la macchina amministrativa. Giusto. La macchina amministrativa non è affatto impermeabile al malaffare. Anzi, è proprio nei suoi ingranaggi che spesso si annida, e che comunque si dispiega l’influenza malavitosa quando essa muova dal livello politico.
La norma di cui abbiamo parlato è così articolata da prevedere che anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, gli «elementi di cui al comma 1» possono riferirsi «al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale». In questi casi, la relazione prefettizia, rilevata la sussistenza degli elementi previsti dalla norma, può portare all’adozione dei provvedimenti necessari a ripristinare la normalità della vita amministrativa dell’ente. Così il comma 5: «[…] con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la sospensione dall’impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’autorità competente». Il procedimento disciplinare prevede, com’è noto, una serie di misure sanzionatorie di diversa gravità: la più grave è il licenziamento.
In conclusione, le valutazioni che portano allo scioglimento dei consigli comunali sono valutazioni complesse, perché richiedono difficili ponderazioni e bilanciamenti tra valori costituzionali; valutazioni articolate, perché si snodano attraverso passaggi diversi che coinvolgono attori diversi; valutazioni difficili, perché giocoforza hanno implicazioni politiche di non poco rilievo. E, tuttavia, valutazioni che il legislatore impone di fare a fronte della pervasività del fenomeno mafioso, anche a costo di sacrificare valori costituzionali fondamentali. Ai giudici il controllo giurisdizionale, e la tutela dei diritti e delle prerogative. Dobbiamo avere, però, la consapevolezza che non è facile compito, quello della giurisprudenza. I “casi concreti” che i giudici si trovano a decidere sono sempre così poco lineari da giustificare difformità giudizio, come, del resto, è fisiologico in tutte le materie. Di qui l’esigenza di un approccio “laico” al problema, sia quando si discute di prospettive di riforma sia quando si discute di situazioni contingenti.

*docente dell’università Mediterranea di Reggio Calabria

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