BOLOGNA «Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari… oleifici… industriali, tutto quello che vuoi… quindi io so dove bussare… quindi se tu mi tieni esterno ti dà vantaggio, se tu mi immischi… dopo che mi hai immischiato e mi hai bruciato… è finita”. Lo diceva a un altro indagato, secondo un’intercettazione dell’8 settembre 2015 agli atti dell’inchiesta “Grimilde”, Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, esponente di Fratelli d’Italia (Fdi), arrestato nell’operazione della Dda di Bologna (qui la notizia).
Nel dialogo intercettato Caruso, che secondo il Gip ha un ruolo «non secondario nella consorteria», spiegava a Giuseppe Strangio che, in relazione alla funzione che all’epoca rivestiva all’ufficio delle Dogane di Piacenza, avrebbe dovuto cercare di mantenere un certo distacco da Salvatore (per gli inquirenti Salvatore Grande Aracri) perché questi, come il padre Francesco, era controllato dalle forze dell’ordine. Sarebbe quindi stato più utile per la consorteria, ricapitola il Gip, che Caruso non apparisse all’esterno come un associato, «al fine di poter agire nell’interesse del sodalizio con più efficacia».
«Ultimamente – si legge nella conversazione di Caruso, intercettata – Salvatore stesso (sottinteso: mi dice) “stai a casa, lasciami stare, vediamoci poco”. Perché? Perché è giusto che sia così… nel senso che io dal di fuori se ti posso dare una mano te la do, compà, perché al di fuori mi posso muovere… guardo, dico, se c’è un problema, dico: “stai attento”. Altrimenti, dopo che si viene “bruciati”, “la gente ti chiude le porte, la gente mi chiude le porte… che vuoi da me… se tu sei bruciato non ti vuole… hai capito quello è il problema… quindi allora se tu ci sai stare è così… loro invece a tutti i cani e i porci è andato a dire che io riuscivo… che a Piacenza io riuscivo a fare i libretti, le cose».
Caruso venne eletto nel 2017 nel consiglio comunale. La conversazione risale, dunque, a un periodo precedente.
«LA DOBBIAMO AFFOGARE ‘STA AZIENDA» Altre intercettazioni mostrano, secondo gli inquirenti, l’appartenenza del politico a un contesto criminale. «Io con Salvatore gli parlo chiaro, gli dico… Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?». Così si esprimeva Giuseppe Caruso, intercettato nel 2015 dagli investigatori coordinati dalla Dda di Bologna mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato.
Secondo il Gip Alberto Ziroldi, che ha per lui disposto la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, Caruso con quelle parole stava «illustrando in modo assolutamente genuino quale fosse il reale intento e scopo dell’organizzazione criminale nell’aiutare la società Riso Roncaia Spa».
In un altro passaggio dell’ordinanza, il giudice sottolinea come i fratelli Caruso abbiano fornito «in più occasioni la confessione stragiudiziale della loro appartenenza al sodalizio criminoso, comportandosi di conseguenza».
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