di Sergio Pelaia
MILANO Uno «scenario di malaffare» in cui diversi milioni di euro venivano affidati dalle Prefetture ad alcune onlus che, secondo gli inquirenti, a dispetto del loro status giuridico lucravano eccome sull’accoglienza ai migranti. Una mega truffa messa in atto grazie a dei «prestanomi» inseriti in uno schema collaudato e ripetuto nel corso degli anni. A capo della presunta associazione a delinquere colpita dall’inchiesta “Fake Onlus” della Dda di Milano (qui la notizia) ci sarebbe stata una 67enne nata a Pescara e residente a Milano, Daniela Giaconi, che avrebbe creato un sistema per «lucrare sull’emergenza» facendo anche finire diverse migliaia di euro nelle tasche di soggetti condannati per ‘ndrangheta (qui i dettagli). La donna però, secondo gli inquirenti, non poteva interagire direttamente con le Prefetture di Lodi, Parma e Pavia a causa dei problemi avuti in passato con la giustizia – è «gravata da numerosissimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» – così avrebbe “utilizzato” come interfaccia con gli organi del governo altre due donne, entrambe di origini calabresi. Si tratta di Letizia Barreca, 52enne nata a Reggio Calabria e residente in provincia di Pavia, e di Katia Pinto, 48enne nata a Catanzaro e residente in provincia di Cremona, per le quali il Gip di Milano – a differenza di Giaconi che è finita in carcere – ha disposto gli arresti domiciliari.
L’INTERFACCIA CON LE PREFETTURE Barreca risulta essere consigliere del Consorzio “Area solidale” e legale rappresentante di una delle onlus (“Volontari senza frontiere”) finite nella bufera giudiziaria, e il suo apporto alla presunta associazione a delinquere – secondo il giudice per le indagini preliminari Carlo Ottone De Marchi – sarebbe stato «rilevantissimo». Il suo ruolo, in particolare, stando a quanto emerge dall’inchiesta dei pm Ilda Boccassini e Gianluca Prisco, sarebbe stato quello di rapportarsi con i funzionari delle Prefetture, di «produrre documentazione falsa» e anche di fare da «prestanome». Intercettata mentre parla con Katia Pinto, che come lei non solo è di origini calabresi ma è anche rappresentante legale di una delle onlus nel mirino della Procura milanese, Barreca si dimostra «consapevole dei rischi» a cui va incontro «e nonostante tutto persevera nella sua attività» contribuendo a «emettere fatture false» per «giustificare i bonifici» che arrivavano dalle Prefetture.
«SIAMO NELLA MERDA TUTTI» «Pavia – diceva Barreca a Pinto – non paga perché stanno facendo… stanno facendo i controlli no… se questo qua… gli parte l’embolo… e ci fa una verifica fiscale Katia… siamo nella merda tutti!». La “collega” risponde che «questo ce lo dobbiamo aspettare eh…». E ancora, mentre commentano preoccupate il fatto che «ci sono le stesse fatture sulla Prefettura di Lodi e su quella di Pavia», la stessa Pinto sottolinea il concetto: «Guarda che se fanno un controllo incrociato andiamo tutti in galera questa volta! Tutti!».
UN «CASINO ALLUCINANTE» Insomma, Giaconi «deve intascare dei soldi, deve comunque far vedere alla Prefettura che quei soldi lì sono stati spesi in qualche modo». Cioè per dei servizi destinati ai migranti che però ai profughi non sarebbero mai stati forniti, perché «invece quei soldi là sono stati spesi e li ha toccati lei». Un «casino allucinante» lo definisce la stessa Barreca, perché «se qualcuno si mette a controllare… ci fa le pulci… come fanno a Lodi… siamo rovinati… perché non c’è un giustificativo… non c’è niente…». «Io non ho un giustificativo – dice ancora, allarmata, Barreca – non ho un cazzo di nessuno… non ho uno psicologo che mi ha fatto una fattura». (s.pelaia@corrierecal.it)
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