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I latitanti in Canada e la vendetta dei Muià: «Ammazziamo anche le donne»

I dettagli dell’ultima inchiesta internazionale contro le cosche della Locride. I propositi di rappresaglia dopo l’omicidio del “vicerè” del clan Commisso. Le “’mbasciate” ingannevoli da Oltreocean…

Pubblicato il: 14/08/2019 – 9:22
I latitanti in Canada e la vendetta dei Muià: «Ammazziamo anche le donne»

di Sergio Pelaia
Qualcuno, nella “Greater Toronto Area”, voleva che qualcun altro, in contrada Ferraro a Siderno, gli togliesse “i vraci” davanti. Le “’mbasciate” viaggiavano veloce dall’Ontario alla Locride, in particolare da quando qualcuno aveva ucciso Carmelo Muià. «Mino», lo chiamavano, e secondo gli inquirenti era il luogotenente del “mastro”, il boss Giuseppe Commisso, oltre che il capo della ‘ndrina – una delle sei che fanno riferimento alla “società” di Siderno – che aveva il suo feudo proprio in contrada Ferraro. Quando lo hanno ammazzato, il 18 gennaio 2018, aveva 45 anni ed era a pochi passi da casa sua a bordo di una bicicletta elettrica. All’epoca il questore di Reggio ha vietato per lui i funerali pubblici temendo «azioni di rappresaglia» e, in effetti, la morte del “vicerè” del clan Commisso ha creato un certo subbuglio nel sottobosco criminale della Locride. Quell’omicidio era diventato quasi un’ossessione per il fratello di “Mino”, il 50enne Vincenzo, che non a caso gli inquirenti reggini e canadesi hanno tenuto costantemente sott’occhio fino a farlo finire in carcere nell’operazione “Canadian ‘ndrangheta connection” (qui i nomi dei 28 arrestati – foto Peter J. Thompson/National Post).
L’AMBASCIATA E IL “SAN GIANNI” CON I COLUCCIO La vera cifra degli ‘ndranghetisti non è certo l’onore, meno che mai il rispetto e la lealtà tra affiliati. La ‘ndrangheta è fatta principalmente di “carrette”, di “tragedie” che vengono continuamente “armate” (imbastite) per fare ricadere su altri colpe proprie. E per generare, appunto, vendette a convenienza, facendosi togliere «’i vraci davanti» da altri. Vincenzo Muià lo aveva capito bene quando qualcuno, dal Canada, gli aveva mandato a dire che a ingaggiare i killer che hanno sparato a suo fratello erano stati i Coluccio. Per lui, però, ciò era «fortemente improbabile», scrive il Gip di Reggio Filippo Aragona, perché suo fratello con i Coluccio aveva il «San Gianni» (un legame di “comparaggio”). Chi aveva mandato quella “’mbasciata” dava «per sicuro e per scontato che sono stati i Coluccio, che hanno mandato (dal Canada) a questo di qua (a Siderno)», immaginando che i Muià in questo modo avrebbero vendicato l’omicidio di “Mino” sparando contro i Coluccio. «Ma io – spiega Vincenzo – sparo questa carcioffola (carciofo). Io non sparo a nessuno». Perché aveva capito che il mittente di quel messaggio voleva solo «togliersi i vraci davanti».
«SE DOVESSERO C’ENTRARE, LEVIAMO ANCHE LE FEMMINE» Non che Vincenzo Muià non avesse intenzione di vendicare il fratello, ma voleva aspettare di sapere chi fosse stato davvero, senza prestarsi a fare il lavoro sporco per nessuno. «L’unica speranza che hai in questo momento – lo consigliava uno dei suoi fedelissimi – è la legge». La cosa migliore, insomma, per i Muià sarebbe stato aspettare di sapere dalle indagini chi aveva ammazzato Mino. Forti sospetti, però, si erano concentrati su una famiglia rivale, i Salerno, che in passato si era scissa dal clan Commisso. I Muià non avevano paura di un eventuale scontro con loro, ma Vincenzo si preoccupava del fatto che, «benché nella propria ‘ndrina militassero oltre “trenta” affiliati, egli – scrive il Gip – non poteva certamente contare su costoro», perché alcuni di loro erano «al quarantuno (bis, ndr)» e altri erano costretti a mantenere «un profilo basso». La situazione, dunque, non gli consentiva «di poter agire liberamente come faceva in passato». Infatti, adesso, doveva fare «centomila movimenti» e pensava pure alla possibilità di «affidare la vendetta a qualcuno di insospettabile». Ma se la vendetta si fosse concretizzata, sarebbe stata spietata e avrebbero ucciso anche le donne della famiglia Salerno: «Ehh, se dovessero c’entrare, leviamo anche le femmine», diceva Vincenzo Muià.
LA COMMISSIONE Muià è anche andato in Canada, dov’è rimasto dal 31 marzo al 14 aprile 2019, assieme al cugino Giuseppe Gregoraci, per incontrare Cosimo e Angelo Figliomeni. I due fratelli «briganti», latitanti a seguito dell’operazione della Dda reggina “Acero-Krupi-Connection”, sono secondo gli inquirenti a capo del “Siderno group” operante nell’area di Toronto (qui i dettagli sul sequestro del loro “tesoro”). Cosimo Figliomeni – assieme a Francesco Commisso (“’U scelto), a Rocco Remo Commisso e a «tale Filippo non ancora identificato» – farebbe parte della «commissione» o «camera di controllo» di Toronto, un organismo della ‘ndrangheta che faceva sempre riferimento al “crimine” di Siderno ma che avrebbe avuto una certa autonomia operativa. Dalla “commissione” Muià voleva acquisire informazioni sugli autori e sul movente che stavano dietro all’omicidio del fratello, ma le sue richieste non avrebbero avuto risposte sufficienti dai capiclan di Toronto. Una situazione che generava in lui un certo malcontento: «Mio zio Giuseppe – commentava Muià – mi ha detto: “Ti dico una cosa: quando abbiamo fatto (ucciso, ndr) così a tizio non sapeva nessuno nulla. Né commissione parlamentare né commissione straordinaria. Hai capito. La commissione straordinaria siamo noi”».
TORONTO «È PEGGIO» DI SIDERNO Parlando con un’altra persona, che gli inquirenti identificano in Giuseppe Macrì, Muià porgeva le sue condoglianze per l’omicidio di un nipote del suo interlocutore. A morire era stato Cece Luppino, figlio del più noto Rocco, considerato dagli inquirenti canadesi tra gli esponenti di spicco del gruppo criminale “Luppino-Violi”, ucciso il 30 gennaio del 2019 ad Hamilton (qui la notizia). Macrì spiegava che il killer del nipote, a suo parere, non conosceva il suo obiettivo, tanto che lo aveva dovuto attendere vicino casa. Dal canto suo, Muià informava l’interlocutore dell’intenzione di recarsi in Canada per cercare di apprendere informazioni sull’omicidio di suo fratello Carmelo. Ma Macrì glielo sconsigliava alludendo evidentemente a dei rischi che avrebbe potuto correre: «Ma dove cazzo devi andare… Dice che è diventato peggio di qua (a Siderno, ndr) Un cazzo di bordello».
I LATITANTI E IL RISCHIO FAIDA Lo stesso Gip di Reggio, d’altronde, rileva che «in Canada, ove le richieste estradizionali per gli indagati di associazione mafiosa non trovano alcuna risposta, sono presenti molti latitanti di Siderno e della Locride». E in relazione alle esigenze cautelari spiega che «sussiste anche il pericolo che gli indagati possano commettere altri delitti, anche della stessa specie di quelli per cui si procede, e che possano continuare a svolgere i loro compiti all’interno dei rispettivi gruppi mafiosi», considerando anche il «rischio di una falda all’interno della locale di Siderno». (s.pelaia@corrierecal.it)

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