di Alessia Truzzolillo
CATANZARO “Agli atti risultano essere stati versati elementi capaci di dimostrare la contiguità dell’imputato agli ambienti ‘ndranghetistici di Isola Capo Rizzuto”. L’imputato in questione è Leonardo Sacco, ex governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, ente che ha gestito per anni, sotto la sua guida milioni di euro destinati al sostentamento del centro di accoglienza di Isola. Sacco è stato condannato a 17 anni e 4 mesi di reclusione nell’ambito del processo, con rito abbreviato, Jonny, istruito dalla Dda di Catanzaro. Nelle motivazioni della sentenza i giudici ricostruiscono la figura di Sacco e i contorni del “sistema” mafioso di sfruttamento del Cara.
PREMESSA Nel 2000 nasce una violenta guerra di mafia tra le famiglie Arena e Nicoscia. Una guerra che lascia sul campo parecchi morti da ambo le parti. Armi da guerra e auto blindate hanno viaggiato sul territorio di Isola Capo Rizzuto fino al 2006, quando è stata raggiunta una tregua. La pace, promossa da Giuseppe Arena, 53 anni, era indispensabile per poter sfruttare nel modo più conveniente le possibilità di arricchimento legate agli ingenti finanziamenti che arrivavano al Centro di accoglienza migranti (Cara) sorto a Isola Capo Rizzuto. In nome dello sfruttamento del Cara sono state deposte le armi dopo una faida per la quale si contano almeno 20 croci. Tra i collaboratori di giustizia che hanno parlato del cosiddetto “affaire Misericordia” c’è Francesco Oliverio il quale ha fornito importanti dichiarazioni in merito alla gestione degli appalti aggiudicati dalla Prefettura di Crotone per l’erogazione del servizio di assistenza ai migranti. Oliverio si sofferma sulle figure dei ristoratori, coloro che fornivano il servizio mensa, Angelo Muraca (condannato a 16 anni e 8 mesi) e Antonio Poerio (condannato a 20 anni). Un sistema di fatture enormemente gonfiate ha permesso alle cosche di accumulare ingenti somme di denaro con la complicità, racconta Oliverio, di personaggi come Leonardo Sacco, governatore dell’ente Misericordia che gestiva il Cara (condannato a 17 anni e 4 mesi) e don Edoardo Scordio, parroco della chiesta di Maria Assunta di Isola (imputato nel processo con rito ordinario). Secondo la ricostruzione riportata nelle motivazioni della sentenza sarebbe stato proprio don Scordio, che frequentava il centro di accoglienza, a rendersi conto del grande flusso di denaro che, per molti anni sarebbe arrivato sulla Misericordia, ente che aveva il compito di occuparsi dell’accoglienza dei profughi. Così, come concordemente riferito da tutti i collaboratori di giustizia, Scordio avrebbe proposto ai vertici della consorteria – Pasquale Arena, Francesco Gentile, Domenico e Salvatore Nicoscia – di costituire società da affidare ad intranei in modo da entrare nell’affare delle “fatture gonfiate”. Parte dei proventi della illecita gestione dei servizi offerti al Cara doveva restare a don Scordio e alla parrocchia che gestiva mentre un’altra percentuale era destinata al governatore della Misericordia, Leonardo Sacco descritto come “figlioccio adottivo dello Scordio”.
IL SUBAPPALTO AL COGNATO Un figlioccio che dal 2012 al 2015 ha rivestito anche la carica di vicepresidente nazionale della confraternita Misericordia. E’ stato Trucchi, presidente della confraternita ha raccontare che Sacco era stato invitato alle dimissioni perché si era scoperto che uno dei sub appalti per la fornitura dei pasti era stato dato dalla Misericordia alla “Quadrifoglio srl” perché era del cognato di Sacco. Sacco inizialmente aveva tentato di smentire la cosa dicendo che si trattava di una omonimia col vero cognato. Ma messo davanti alle prove documentali aveva dovuto dimettersi dalla carica di vicepresidente nazionale. Dal 2006 milioni di euro sono passati ogni anno – in virtù della convenzione stipulata tra la Prefettura e la Misericordia – dalle mani di Sacco, in qualità di responsabile della Misericordia di Isola, erogati in parte dalla stessa Prefettura e in parte dalla Confederazione nazionale per la gestione del Cpt. Parte di questa somma veniva erogata con assegni bancari e circolari all’associazione “La Vecchia Locanda” di Antonio Poerio. Ma appena giungeva sui conti dell’azienda veniva prelevata, nella quasi totalità, in contati da Antonio Poerio. Sacco, dal canto suo, prelevava in contati somme che poi emetteva con assegni all’ordine di “se stesso”, ne accreditava a Poerio e ne erogava alla Parrocchia di don Scordio a titolo di non meglio precisati contributi. Il tutto senza troppi controlli da parte della Prefettura e della Misericordia nazionale.
L’INTERDITTIVA E LA SOLUZIONE Nonostante nel 2011 fosse stata emessa un’interdittiva antimafia nei confronti della “Vecchia Locanda” poiché il presidente del cda, Stefania Muraca aveva precedenti, il padre, aveva precedenti ed “era solito accompagnarsi a persone malavitose”, la socia Maria Laganà era moglie del pregiudicato Antonio Poerio, la socia Aurora Cozza era moglie di Fernando Poerio che annoverava vari precedenti ed era fratello di un soggetto ritenuto vicino a una cosca mafiosa. Fatta l’interdittiva, trovato l’inganno. Viene costituita la società Quadrifoglio srl gestita dai cugini Antonio e Fernando Poerio e da Leonardo Sacco. La società era stata spudoratamente intestata a Pasquale Poerio (cugino di Antonio Poerio) ed entrò a farne parte anche il cognato di Leonardo Sacco. Leonardo Sacco diveniva così committente e commissario dello stesso appalto. Quando la Quadrifoglio si aggiudica l’appalto, il “sistema” può proseguire. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x