di Giorgio Curcio
REGGIO CALABRIA Il primo importante incontro tra i “calabresi” e i “messinesi”, avvenne il 29 settembre del 2016 quando attorno alle 12, Salvatore Favasuli, arriva con la propria auto (una Fiat Punto) nel locale di Angelo Albarino, una paninoteca a Messina. I due si incrociano ma non si rivolgono né uno sguardo, né un cenno di saluto. È questo uno degli episodi chiave ricostruiti dai carabinieri del Comando di Messina nel corso dell’indagine che ieri ha portato al blitz “Scipione” e al fermo di 19 soggetti tra Messina e Reggio Calabria. Poi sono seguiti altri incontri, a partire già dal giorno successivo. Anche in quella circostanza – ricostruiscono gli inquirenti – Salvatore Favasuli e Angelo Albarino non si salutano ma rimangono insieme all’interno della paninoteca per mezzora prima di recarsi, a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro, in una via attigua alla paninoteca. Lo stesso luogo che cinque più tardi ha visto l’arrivo di Albarino e, più tardi, anche di Rinaldo Pirrotta e Santo Salvatore, anche loro coinvolti nell’inchiesta. Un incontro che, gli stessi investigatori, hanno considerato sospetto, anche in considerazione dell’atteggiamento cauto, la mancanza di conversazioni telefoniche tra loro, lasciando ipotizzare che quegli incontri fossero strettamente legati al traffico di sostanze stupefacenti.
L’ARRIVO DI MORABITO È il 10 ottobre del 2016 quando per la prima volta gli investigatori riescono a riprendere l’arrivo a Messina di Giovanni Morabito, cugino dei fratelli Salvatore e Costantino Favasuli, nonché nipote del capo cosca Giuseppe Morabito, più noto come il “Tiradritto”, esponente di spicco della ‘ndrangheta attiva nel territorio ionico reggino. «Papà, ma ha appuntamento con qualcuno tu? Qua c’è un ragazzo che ti cerca. Ha detto “sono un amico di tuo padre». Questo quanto captato dagli inquirenti nella conversazione tra Angelo Albarino e il figlio Luigi. I meeting sono frequenti tra gli indagati, sebbene quello più importante per gli investigatori è quello del 24 ottobre: Albarino, Favasuli Morabito vengono persi di vista dalle telecamere e dagli agenti nelle vicinanze degli imbarcaderi della “Caronte & Tourist”. Ad imbarcarsi a bordo della propria auto è Salvatore Favasuli mentre Morabito sale sul traghetto a piedi, salvo rincontrarsi più tardi a bordo a mangiare insieme un panino sul ponte. Una volta giunti a Villa San Giovanni i due si separano prima di rincontrarsi e andarsene insieme in auto al termine del “serpentone” allo sbarco del traghetto.
CALENDARI E AGENDINE «Ti faccio dormire, ti faccio fare l’ora di sonno più bella della tua vita!». Questa una delle frasi captate dagli inquirenti nella conversazione avvenuta quella stessa mattina tra Angelo Albarino e Domenico Pirrotta. I due si ritrovano più tardi nella paninoteca ed è lo stesso Albarino a posizionare qualcosa di poco chiaro sotto la sella del motorino di Pirrotta. «Duemila calendari e tremila agendine»: questi i nomi in codice utilizzati per fare riferimento alla sostanza stupefacente, così confermato peraltro dal collaboratore di giustizia Giuseppe Selvaggio. Ma i viaggi di Favasuli e Morabito verso Messina erano frequenti: prima si recavano dallo stesso Selvaggio, poi raggiungevano il rione Giostra per dirigersi a casa di Santo Salvatore e un centro scommesse dove qui avveniva l’incontro con Alessandro Duca.
CALABRESI E SICILIANI Da una parte, dunque, c’erano i calabresi: i fratelli Favasuli e il nipote del “Tiradritto” Giuseppe Morabito. Dall’altra il gruppo criminale messinese, guidato da Giuseppe Selvaggio, aiutato da Angelo Albarino che – di fatto – aveva il compito di trattare e acquistare la droga dai calabresi. Lo stesso Selvaggio, oltre a mantenere rapporti diretti con i fornitori calabresi, coordinava l’attività di approvvigionamento e custodia della droga nella sua abitazione, di distribuzione e di incasso dei proventi illeciti. (redazione@corrierecal.it)
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