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«Cosa ci insegnano le parole del Papa»
di Ettore Jorio*
Pubblicato il: 28/03/2020 – 8:42
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Non sono più credente da tanto. Nonostante ciò devo manifestare più a me stesso che agli altri l’emozione che ho vissuto ieri vedendo le immagini del Papa e riascoltando le sue parole. Non è una sensazione che ho avvertito in diretta, perché invero avevo sottovalutato l’evento, bensì le ho registrate rivedendo e riascoltando il tutto.
Commovente il Papa che raggiunge il sagrato da solo e malfermo, circondato da un panorama desolato e camminando su una pavimentazione bagnata e plumbea, rappresentativa della tristezza del momento.
Emozionante il suo mostrare al mondo l’ostensorio più prezioso e più comunicativo del solito, sul quale il Pontefice non ha mai poggiato le mani nude. Un segno di alto rispetto e di buona comunicazione.
Toccanti le sue parole dedicate all’umanità straziata dal coronavirus che ha il dovere di alzarsi. Di non avere paura. Richiamando una significativa pagina del vangelo (Marco), ci ha invitato a non sentirci «impauriti e smarriti. Come i discepoli presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa». Ci ha invitato a remare insieme, «bisognosi di consolarci a vicenda».
Ricchi di pathos i richiami all’unità, allo stare insieme, alla gratitudine che ha sollecitato mettendo giustamente insieme alla solite categorie di eroi chi lavora nei supermercati. Anche loro artefici della scrittura della storia del Paese!
Significativo l’invito ad accettare e reagire alla «contrarietà del tempo presente», ad opporsi alla «tempesta» in atto, ad avere «il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà». La generosità è lo strumento attraverso il quale conseguire gli obiettivi che contano.
Insomma, una bellissima lezione soprattutto nella parte nella quale scopre le nostre coscienze (la mia di certo!) evidenziando come «la tempesta» tiri fuori tutta la forte debolezza, dei singoli e della collettività planetaria. Di come la concepibile paura evidenzi «quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende», supponendo così di vincere chissà cosa.
Perché ho scritto queste mie sensazioni è la domanda che mi pongo concludendo. Credo che sia un atto di profondo egoismo liberatorio, da una parte, e di offrire, dall’altra, l’occasione di potermi rileggere a epidemia passata e di ricordare così principi che fino a ieri ho trascurato.
Un modo questo, per dirla alla Francesco, per scegliere, per quello che mi resta, le cose che contano a discapito delle cose che passano. Non solo. Per separare «ciò che è necessario da ciò che non lo è».
Adesso, a lezione presa – somministrata al mondo, in una apparente e devastante solitudine scenografica di un Papa da solo ma che entrava però nelle anime di tutti – rimbocchiamoci le maniche e le “anime”, senza distinzione alcuna, e portiamo la nostra nave in porto.
Facciamolo senza vittime, assumendo l’abitudine di pensare a chi ne ha bisogno e a non ritenere alcuno pericoloso per noi e le nostre famiglie. Si vince tutti insieme!
*docente Unical
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