La Regione, anche alla luce della disorganizzazione e dell’impreparazione con cui si stiamo misurando con lo tsunami sul sistema sanitario, inizi a pensare adesso a come meglio attrezzarsi per fronteggiare la crisi economica che sulla Calabria ed il Mezzogiorno s’annuncia più grave che altrove. E che, se non governata con lungimiranza ed audacia, potrebbe far esplodere la rabbia dei cittadini, generando un cortocircuito democratico dagli effetti imprevedibili, sia sul piano economico e sociale che della legalità.
A fronte dei disastrosi prospetti economici elaborati dagli analisti più accreditati (e del Pil italiano del primo semestre a meno 42 miliardi di ricchezza), la cui base di riferimento è data da intere categorie sociali messe in ginocchio dall’assenza di liquidità, inclusa la duramente colpita filiera della piccola e media impresa che è l’asse portante dello sviluppo, sarebbe necessario, per una regione come la nostra già sferzata dalla congiuntura economica precedente e discriminata dalle politiche economiche dei governi, attrezzarsi bene ora. Per evitare – all’indomani della fine dell’emergenza da Covid-19 e in uno scenario da “economia di guerra” – di farsi cogliere impreparati ed essere costretti ad improvvisare, a destreggiarsi con provvedimenti che, pur se utili, rispetto all’enormità delle esigenze sono pannicelli caldi o, peggio, a misurarsi con un contesto globale e nazionale radicalmente mutato, in cui le aree forti non cesseranno di influenzare le decisioni politiche nazionali ed europee, presentandosi politicamente disuniti e illudendosi di superare la nottata adoperando i metodi fallimentari del passato. Se cosi fosse, per la Calabria si aprirebbe uno scenario di sicura e marginalizzazione, diventerebbe un atollo nel Mediterraneo economicamente desertificato in preda ad illegalità organizzate e diffuse e con una società civile strangolata nel portafoglio e nelle speranze. Non è questo che ci auguriamo.
L’idea, per le classi dirigenti calabresi di cui la politica regionale è magna pars, potrebbe essere quella di istituire da subito un Comitato politico/tecnico/scientifico che, con la partecipazione di autorevoli esperti calabresi, includa, oltre ai sindacati, al Terzo settore e alla rappresentanza imprenditoriale – consapevoli che le divisioni dinanzi alle sfide che ci attendono sarebbero scellerate e che occorre un’alleanza forte per non soccombere – le forze della maggioranza e dell’opposizione. E che inizi a fare una ricognizione puntuale dei danni ingenti provocati dalla pandemia al sistema economico e sociale calabrese ed elabori una prima strategia di uscita dalla crisi finalizzando – in maniera trasparente, efficace e nel rispetto della legalità – le risorse europee, nazionali e regionali sia allo sviluppo produttivo che alle risposte da dare ai bisogni impellenti delle persone.
Naturalmente, la “Grande Depressione” che si dischiude ai nostri occhi necessita (da adesso) di una struttura burocratica non più vischiosa o dedita a comportamenti persecutori ai danni dei cittadini, ma di dirigenti (e ce ne sono tantissimi) coscienti dell’ “ora più buia” che ci è piombata addosso e pronti a cooperare per il bene comune. In questa sopravvenuta congiuntura dai tratti inediti e che, per dimensioni e incidenza sulle vite delle persone, fa impallidire la crisi iniziata nel 2008-2009, credo che lo stesso programma politico con cui la maggioranza ha vinto le elezioni del 26 gennaio e che la Presidente della Regione deve illustrare in una prossima seduta del Consiglio regionale, risulti perlomeno anacronistico e, suo malgrado, fuori tempo massimo. Non si va alla guerra dentro cui il secondo ventennio del XXI secolo improvvisamente ci catapulta, con le armi del ‘Secolo breve’, né con la mente rivolta al passato caratterizzato da scelte assistenziali e da un uso distorto e clientelare delle risorse pubbliche.
Quando si dice che la pandemia cambia tutto, s’intende che, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti, se non vogliamo metterci fuori dalla storia, con dinamiche economiche internazionali che incidono sulla natura delle Istituzioni e della stessa politica, che deve dar prova – seguendo l’indicazione di Papa Francesco – di essere in grado di recuperare i concetti di umanità e solidarietà e non essere più “macchina di pratiche”, allontanandosi dalle “patologie del potere” e “dall’impietrimento mentale e spirituale”.
*Consigliere regionale della Calabria
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