Fa senso, in piena epidemia da Coronavirus, apprendere che il “Piano pandemico regionale” in Calabria non viene aggiornato dal 2009. È stato l’acume professionale di Antonio Ricchio ad aver scovato l’inghippo ed a pubblicarlo su Gazzetta del Sud. Così i calabresi hanno potuto sapere che il contenuto di quella delibera di Giunta, presidente Loiero, giaceva negli archivi della Regione insieme ad altre carte impolverate. Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità e il ministero della Salute, avevano sollecitato l’aggiornamento periodico perché fosse scongiurato il possibile ripetersi di una pandemia.
Che dire? Che, si può convenire che i politici sono capaci a chiedere voti, a farsi eleggere e di incassare prebende. Il resto è storia di una classe dirigente che domina le strutture politiche, economiche, culturali e sociali, che fa pendant con una ceto sociale distratto, che rende ancora più macroscopici i punti deboli della Calabria. L’insieme di questi fattori, che rende possibile la selezione della classe dirigente con metodi nuovi considerato che quelli vecchi fanno acqua, dovrebbe scuote la società silente anche di fronte ad una realtà sanitaria come l’attuale che avrebbe bisogno di una diversa considerazione.
Il rientro dal disavanzo economico nella Sanità in Calabria, non andava fatto solo impedendo, tout court, spese ulteriori, ma con un impegno oculato e finalizzato che non si tirasse indietro dal continuare ad assicurare alla comunità servizi adeguati. E in Calabria c’è bisogno di una Sanità diversa, efficiente, che garantisce assistenza uguale a quella di tante altre regioni, se non si vogliono dissipare risorse e le speranze residuali della popolazione.
Il Piano sanitario della Calabria andava aggiornato, ma senza intaccare i servizi, a cominciare dalle aziende sanitarie, che avrebbero dovuto provvedere, semmai, a potenziare i posti letto soprattutto nei reparti di malattie infettive. Suggerimenti inascoltati, rimasti sulla carta ingiallita dal tempo, che oggi, in presenza di una pandemia che dispensa morte, si manifestano producendo solo disorganicità. Di fonte a tanto, emerge sempre di più l’incapacità di una classe dirigente inconcludente, superata e approssimativa. Provare a cambiarla adesso, in presenza della pandemia da Coronavirus, sarebbe impossibile. C’è bisogno di un radicale intervento che determini una rivoluzione nelle abitudini delle istituzioni. A cominciare da una svolta nel ridefinire i rapporti tra elettori ed eletti; che venga assimilato il principio secondo il quale il politico dovrebbe essere scelto, oltre che per l’ideologia politica, anche per le sue capacità professionali, culturali e per le sue competenze. Finché questa “trilogia” non verrà assimilata e fatta valere come necessità indispensabile, il destino della Calabria continuerà ad essere segnato.
La Calabria ha bisogno di una terapia d’urto. Per ottenerla sono necessarie due condizioni: la volontà e l’impegno. Ma è indispensabile anche tenere conto del fatto che le risorse economiche vanno finalizzate per lo sviluppo del territorio e per i servizi. Diversamente continueremo a non avere risposte riguardo alle esigenze della regione, delle famiglie e dei giovani. Molto denaro è stato dissipato per iniziative che non hanno determinato nulla se non “ritorni clientelari”.
Non è più tempo per continuare a sperperare risorse. L’obiettivo non può che essere la promozione del lavoro in quanto volano di tutte le economie. Ma c’è bisogno anche di nuovi collegamenti stradali per rendere fruibili i borghi, l’altopiano della Sila, l’Aspromonte, le “oasi” archeologiche, il mare. Ma anche l’Alta Velocità, gli insediamenti industriali; il turismo di qualità. Sarebbero questi i settori su cui puntare, le iniziative che vanno promosse perché attraggono persone e capitali; perché servono per avviare una seria lotta alla disoccupazione ed evitare che la criminalità tragga linfa vitale. Ma anche per dare risposte ai giovani la cui possibilità di trovare lavoro è minima se non inesistente. Eppure il lavoro è il mezzo che rende liberi e indipendenti.
Nasce da queste considerazioni il desiderio che in Calabria si creino condizioni di sviluppo. Realizzarle sarebbe non solo un antidoto alla povertà, ma anche un mezzo per evitare alle “sirene ammaliatrici” della delinquenza organizzata di continuare a prosperare.
Questo estremo lembo dello stivale può e deve cambiare, lo farà se muta la mentalità di chi governa il Paese. Se anche ai calabresi viene consentito di guardare alto e pensare in grande. C’è bisogno di una classe politica che sappia parlare con i calabresi, con le famiglie, con i giovani; che dica chiaramente alle organizzazioni criminali che il futuro è altro, che non ci può essere sviluppo se continua ad esserci la ‘ndrangheta. Ecco perché c’è la necessità di una nuova classe politica che si rotoli le maniche e lavori per un futuro migliore, per la Calabria. Si parla tanto di nuova economia, di lotta alle disuguaglianze, di tecnologie, di sociale, di agricoltura, di turismo. Ma sono tutti settori che i calabresi sentono lontani, quasi irraggiungibili. Il fine che si attende è sfatare la credenza antica secondo la quale chi è povero ha il diritto di diventare più povero e chi sta bene può pensare di stare meglio.
*giornalista
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