L’appello di Luca Madia, giovane calabrese bloccato a Bergamo, senza più il lavoro e senza alcuna prospettiva: «Ma perché non ci lasciate rientrare? Sono profondamente amareggiato e deluso dalla mia terra». Lo sfogo di Luca nella conferenza live Facebook, trasmessa ieri dal profilo di Franco Laratta, già parlamentare, che anima ogni giorno una discussione in diretta sulle conseguenze del coronavirus. Prima fra tutte, il triste abbandono dei ragazzi calabresi nel nord Italia.
LA STORIA DI LUCA Garbato, Luca, ma duro con chi in Calabria sta mortificando centinaia di ragazzi che per studio o per lavoro si trovavano nel Nord Italia al momento della violenta aggressione del coronavirus. Sono tutti coloro che non sono scappati quella notte del 7 marzo quando la Lombardia divenne zona rossa e quindi totalmente isolata. Quei ragazzi che per correttezza hanno deciso di rinviare la partenza caotica e confusionaria di quelle drammatiche ore, oggi pagano un prezzo alto e crudele: respinti dalla loro terra di origine che nel frattempo ha sigillato i propri confini. Troppo comodo, troppo facile. La Regione non ha saputo fare altro. In queste ore i social sono inondati dalla pressante richiesta di aiuto: «Siamo isolati da oltre un mese e mezzo, vogliamo rientrare in sicurezza. Ma non abbandonateci, non abbiamo più nulla da fare qui». Fabbriche chiuse, Università chiuse, Lombardia colpita duramente. Luca Madia racconta i giorni e le notti a Bergamo con l’unica compagnia del continuo e straziante urlo delle sirene delle ambulanze. E poi la colonna delle potenti auto nere che straportavano centinaia di bare verso sconosciuti cimiteri. Del resto, le cappelle, le chiese, le palestre, erano completamente piene di bare accatastate e in attesa di una sepoltura! O del fuoco che cancella i resti e ogni orrore.
LE RICHIESTE E c’è chi nella messaggeria pubblica di Franco Laratta (centinaia i messaggi dal Nord) fa osservazioni molto pertinenti: «Perché la Farnesina ha organizzato voli di Stato per fare rientrare i ragazzi che studiavano fuori? Che differenza c’è con i ragazzi rimasti bloccati in Lombardia». «Nei calabresi che non possiamo tornare ci sono anche io-scrive Marco. Sono un operatore socio sanitario a Piacenza, ho fatto il test sierologico il 17 aprile. È negativo. Stiamo lavorando continuamente, senza sosta. Vorrei tornare giù per un po’ di relax e per vedere i miei. Perché non lo posso fare?». «Tutti invocano un provvedimento della regione. Che tace. Qualche comunicato stampa di singoli consiglieri e di qualche gruppo. Ordinaria burocrazia politica, in buona sostanza. Chi può e chi deve non ascolta l’urlo di dolore dei calabresi dimenticati in ‘terra straniera’. E forse sarebbe stato meglio, in terra straniera. Perché a quest’ora sarebbero stati tutti presi e ricondotti a casa!».
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