ROMA Un’organizzazione «silente, ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale, sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga, quindi in costante ascesa per ricchezza e “prestigio”». È l’immagine della ‘ndrangheta disegnata dalla ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, secondo cui «l’affermazione criminale dei clan calabresi è da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda già dalla base, ossia dai legami di sangue, preservandosi in tal modo, quasi del tutto, dall’esposizione al rischio del pentitismo». Proprio questo risulta tuttora «l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta quale interlocutore privilegiato per i più importanti gruppi criminali stranieri, in quanto partner affidabile per qualsivoglia affare transnazionale. I narcos sudamericani, in particolare, paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilità delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga».
Tale capacità adattativa «ha permesso ai clan di acquisire sempre più segmenti di infiltrazione anche nel panorama politico e istituzionale, conseguendo appalti e commesse pubbliche». E sono proprio i rapporti con il mondo politico-imprenditoriale che consentono alla ‘ndrangheta di «replicare i propri modelli di azione nelle altre regioni d’Italia e all’estero. Contesti, quest’ultimi, dove si sono, nel tempo, stabilmente insediati numerosi affiliati, incardinati in locali che, seppur dotati di una certa autonomia, continuano a dar conto al comando strategico» calabrese.
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