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Per i pentiti sono "agenti infedeli" ma i superiori non hanno riscontri

Prosegue al tribunale di Cosenza il processo a carico di Luigi Frassanito, Giovanni Porco e Francesco Caruso. I loro responsabili in carcere hanno raccolto le confidenze dei boss pentiti e che teme…

Pubblicato il: 29/09/2020 – 18:33
Per i pentiti sono "agenti infedeli" ma i superiori non hanno riscontri

di Michele Presta
COSENZA
La tesi d’accusa da sostenere è che Luigi Frassanito, Giovanni Porco e Francesco Caruso siano stati gli “agenti infedeli” della polizia penitenziaria all’interno del  carcere di Cosenza. La tesi della difesa è smontare il racconto che sui tre hanno riferito diversi collaboratori di giustizia. Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Luca Pellicori, Ernesto Foggetti, Mattia Pulicanò, Franco Bruzzese, Vincenzo De Rose, Francesco Noblea, Luciano Impieri; tutti i pentiti della malavita cosentina li accusano di essere stati ambasciatori tra l’esterno e quello che succedeva all’interno del carcere di Via Popilia. Le rivelazioni fatte ai pm dell’ antimafia, hanno permesso cristallizzare un pesante quadro indiziario che ha fatto finire i tre all’attenzione prima della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e oggi dinnanzi al tribunale di Cosenza. Il dibattimento è in corso e, dopo l’interruzione a causa dell’emergenza sanitaria, riparte per non fermarsi più e mettere una prima verità giudiziaria sulla questione che riguarda i tre secondini del carcere “Sergio Cosmai”.
AL BANCO DEI TESTIMONI Alle domande del pubblico ministero Vito Valerio e del collegio difensivo composto da Francesco Boccia, Cristian Cristiano, Filippo Cinnante e Gaetano Bernaudo hanno risposto nel corso dell’ultima udienza due diretti superiori dei tre all’epoca in cui si sono riferiti i fatti. Su Luigi Frassanito e Giovanni Porco, scrisse una relazione di servizio Alberta Rengoni comandante del reparto di Cosenza. Il superiore mise nero su bianco i timori di Adolfo Foggetti che da poco aveva deciso di iniziare a collaborare con la giustizia. «Mi disse che temeva di essere avvelenato – ha spiegato Alberta Rengoni sedendo al banco dei tesimoni -. Rifiutava il vitto e questo perché aveva intravisto Porco durante il periodo di isolamento». Non c’è solo la confidenza di Foggetti ma anche quella di Daniele Lamanna, entrambi hanno riconosciuto i due agenti quando dinnanzi a loro sono state sistemate delle foto segnaletiche. «Mi disse che temeva per la sua vita a causa della presenza di Porco e Frassanito – racconta il commissario di polizia penitenziaria Davide Pietro Romano -. Tutto quello che mi disse Lamanna lo riportai nella mia relazione di servizio. In particolare che Luigi Frassanito era parente di Gianluca Marsico e che era attivo in alcune attività di usura. Di Giovanni Porco invece mi disse che si propose come tramite per fare delle comunicazioni con l’esterno». Nessun riscontro alle dichiarazioni dei pentiti però. Alle domande del collegio difensivo i testimoni hanno fatto spallucce. «Dai documenti in mio possesso non posso affermare che siano state introdotte dall’esterno alcun tipo di prodotti la cui introduzione è illegale – ha aggiunto Rabone -. Mi riferisco all’alcool e ad altre sostanze. Gli ingressi sono sempre controllati e gli agenti della penitenziaria nonostante non vengano perquisiti al loro ingresso devono comunque passare sotto i metal detector». E il tenore delle risposte è simile in quelle di Romano: «Non ho registrato alcun tipo di condotta con riferimento a quanto detto da Lamanna. Le comunicazioni tra alta e media sicurezza non sono consentite e nelle sezioni ci sono telecamere». Oltre ai due è stato ascoltato anche l’ispettore Pasquale Zicarelli in servizio a Cosenza dal 1992. «Non ho mai fatto richiami per Frassaniti – spiega -. Se avessi avuto delle notizie di reato certamente le avrei segnalate».
LA CAPTAZIONE NELL’AUTO DI MARIO GATTO  Sul banco dei testimoni si sono accomodati anche i marescialli del nucleo investigativo dei carabinieri di Cosenza, Emanuele Caputo e Leandro Leone. Il primo ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere a Luigi Frassanito, il secondo ha seguito nel corso di un altro procedimento delle intercettazioni ambientali nella macchina di Mario Gatto, attualmente detenuto. Una persona non identificata, dalle intercettazioni finite nell’inchiesta ha riferito a Gatto che: «Luigi lo cercava». Si sostiene che fosse Frassanito ma il maresciallo seppur a conoscenza degli ulteriori approfondimenti d’indagine alla corte non ha saputo riferire gli esiti. L’udienza proseguirà il prossimo 15 ottobre con l’audizione di altri testimoni della difesa, poi si passerà ai collaboratori di giustizia. (m.presta@corrierecal.it)

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