Habemus Papam
Il primo. Giuseppe Zuccatelli è il nuovo commissario ad acta. Un tecnico che ha storia e, di certo, potrà fare per la Calabria meglio di quanto sia stato fatto sin d’ora, prescindendo dai video in circolazione tendenti a screditarne l’immagine. Riuscirà a farlo specie se lavorerà in stretta sinergia con il nuovo Dg del Dipartimento regionale della tutela della salute e delle politiche sociali, atteso che i due hanno già maturato interessanti esperienze collaborative.
Il secondo. È il decreto legge, recanti «Misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della regione Calabria», a trovare, verosimilmente oggi posto nella GU. Lo farà nella sua versione 4.0 ripulita di tutti gli strafalcioni giuridici contenuti nelle elaborazioni precedenti che lo rendevano seriamente vulnerabile sotto il profilo costituzionale e offensivo nel confronti del Testo unico per il pubblico impiego (si veda qui 5 novembre 2020).
Il testo del provvedimento
Nelle sue precedenti stesure sanciva alcuni superpoteri, oltre a quelli residuati nel definitivo testo, in capo al nominando commissario ad acta francamente incompatibili con l’art. 4 del D.lgs 165/2001. Una fonte legislativa fondamentale per l’ordinamento che scandisce chiaramente la differenziazione delle funzioni e responsabilità, rispettivamente, esercitate e riconducibili agli organi politici di governo – tale è il commissario ad acta a mente dell’art. 120, comma 2, della Costituzione – e alla dirigenza. Ai primi, infatti, spettano quelle di indirizzo politico-amministrativo e alla seconda quelle tipicamente gestorie, da perfezionare con l’assunzione di atti e provvedimenti amministrativi.
Ebbene i precedenti testi al riguardo disponevano, all’art. 1 comma 3, l’impossibile, facendo confusione tra la specificità delle prime funzioni con le seconde arrivando ad assegnare «tutti i poteri di gestione» al commissario ad acta. Non solo. Attribuendo allo stesso «le attività di gestione tecnico-amministrativa», una prerogativa esclusiva spettante alla dirigenza regionale, tenuta ad esercitarla per dovere e per contratto.
I vizi che permangono
Ma si sa, «tutto è bene ciò che finisce bene». Un buon proverbio che, nel caso di specie, è tuttavia solo parzialmente accettabile.
Ancora non condivisibili, invero, tante cose.
Tra queste, il perfezionamento del più importante adempimento manageriale delle Asp e Ao/Aou, l’atto aziendale, affidato ai commissari straordinari con l’obbligo di adempiervi entro 60 giorni dalla nomina (art. 2, comma 4). Un termine, questo, neppure sufficiente a capire dove gli stessi siano, figuriamoci a ridisegnare l’organizzazione ottimale delle aziende cui i medesimi sono stati preposti. E ciò in Calabria, con la sua difficile orografia, con la moltitudine di anziani per lo più presenti nella periferia e la carenza assoluta di una organizzazione territoriale, rappresenterebbe per chiunque una «mission impossible» da portare a termine in tempi brevi.
Il massimo dello sconcerto, al riguardo, lo si raggiunge nel comma 4 dell’art. 4 allorquando si delega un siffatto fondamentale adempimento alla commissione straordinaria affidataria delle aziende sciolte per ‘ndrangheta. Con tutto il rispetto per i funzionari prefettizi che la compongono, è verosimile immaginare il macello che combineranno per organizzare lo schema di ottimale funzionamento delle due aziende provinciali di Catanzaro e Reggio Calabria, finanche in condizioni di simil-dissesto. Una situazione quest’ultima – improvvidamente introdotta dal famigerato decreto Grillo «salva-Calabria» in palese contrasto con la normativa generale, che impone alle Regioni le coperture finanziarie dei disavanzi generati dalle proprie aziende della salute – che determinerà difficoltà e disagi insormontabili nelle forniture e pericoli gravi alle economie dei creditori. Ciò aggravato da aziende territoriali senza bilanci dal 2014!
Costi che proliferano e funzioni speciali che si moltiplicano
A proposito di difficoltà finanziarie, il decreto legge contribuirà ad appesantire, incoscientemente, i costi del sistema sanitario calabrese. Primo fra tutti, in presenza di un Dipartimento regionale, peraltro oggi ben diretto, prevede l’istituzione di una struttura commissariale speciale di venticinque (diconsi 25) unità, di cui cinque in posizione dirigenziale, non si capisce per fare cosa. Il tutto, con un costo aggiuntivo per i calabresi, già iper tassati, di circa 3,5 milioni all’anno per fare non si ancora cosa, se non generare confusione, duplicazione di compiti e una perniciosa e inutile competizione con gli organici regionali.
Va ben oltre
Riapre le porte (sembra) agli attuali advisor – che hanno dissanguato la Calabria di decine di milioni di euro negli ultimi undici anni senza certificare alcunché – assegnando un budget di quindici (diconsi 15!) milioni per quella anzidetta certificazione che sino ad oggi non c’è mai stata (art. 6, comma 4).
Il decreto legge contiene, infine, una previsione che fa venire i brividi. Ribadisce la sfiducia verso l’istituzione regionale (ma anche commissariale) perdurando in quella logica nazionale di affidare tutta la gestione delle forniture emergenziali in capo al commissario Domenico Arcuri (avvalendosi allo scopo di Invitalia SpA!!), che ha determinato non pochi problemi in Calabria di adeguamento strutturale per far fronte all’emergenza, seppure resosi corretto sostenitore delle competenze di soggetto attuatore di protezione civile assegnate al commissario ad acta e non già alla presidenza della Regione (art. 3, commi 2 e 3).
Ebbene il DL arriva ad affidare al medesimo nientepopodimeno che l’attuazione del «Piano triennale di edilizia sanitaria (con 4 mega ospedali) e di adeguamento tecnologico della rete di emergenza e della rete territoriale della Regione», che varrà (tanto) ben oltre il miliardo di euro, tutti da adottare a cura del nominato commissario ad acta.
Ai sindaci la rivalutazione di fatto, del loro ruolo
Una previsione che è, invece, garante della continuazione di una assistenza della quale si fa fatica a capirne l’utilità.
Una delle cose più interessanti dell’esaminato decreto legge è la volontà (ri)codificata di imporre ai commissari straordinari di informare sulle misure dai medesimi adottate, almeno ogni sei mesi, la Conferenza dei sindaci, un organismo promosso a suo tempo dal «decreto Bindi» del 1999 ma irresponsabilmente svalutato sia dalle autorità sanitarie che da quelle locali. Un importante insieme dei sindaci che avrebbe meritato di essere consultato dal Governo preventivamente in relazione ai provvedimenti riguardanti la sanità calabrese. Senza di loro non si va da alcuna parte.
Concludendo, una Calabria – a ben vedere – trattata male per 11 anni che, ahinoi, continuerà ad esserlo, quantomeno in termini di esproprio delle funzioni esercitate dalle proprie istituzioni.
*docente Unical
articolo pubblicato su QuotidianoSanità
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