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Positiva al Covid ostaggio di un tampone: «Dall'Asp nessuna risposta da un mese»

Il racconto di una giovane di Lamezia Terme si somma a quello di tanti altri casi. Nonostante l’arrivo di nuovi macchinari, rimangono le criticità e i difetti comunicativi. «Nelle quattro mura dell…

Pubblicato il: 09/12/2020 – 7:35
Positiva al Covid ostaggio di un tampone: «Dall'Asp nessuna risposta da un mese»

di Giorgio Curcio
LAMEZIA TERME
Ritardi nelle comunicazioni, scarso feeling con le piattaforme digitali e un approccio spesso approssimativo. È questo il leit motiv che da mesi accompagna quella che è l’emergenza Covid in Calabria, tornata prepotentemente d’attualità in questa seconda ondata in cui i numeri hanno mostrato tutti i limiti del sistema sanitario calabrese. A gettare ombre sul tracciamento dei dati e dei contagi in Calabria – oltre alle indagini delle procure di Reggio e Catanzaro – è il mancato utilizzo (o in parte) della piattaforma digitale predisposta dalla Protezione civile. Nonostante le smentite (totali o a metà) è del tutto evidente che la gestione dell’emergenza Covid nelle Asp calabresi ha mostrato più di una falla in diverse circostanze, soprattutto quella di Catanzaro.
CORTO CIRCUITO COMUNICATIVO Tra i casi più emblematici c’è forse il corto circuito comunicativo tra l’Asp del capoluogo e il Comune di Lamezia Terme, messo in risalto dalla costante incongruenza dei numeri comunicati dall’Ente e dalla stessa Azienda sanitaria provinciale del capoluogo. Una situazione paradossale e che ha destabilizzato pazienti e cittadini, fino all’episodio forse più grottesco, la plateale e a tratti folkloristica telefonata tra il sindaco, Paolo Mascaro, e il direttore del Dipartimento di Prevenzione, Giuseppe Caparello, legata alla riapertura in sicurezza degli istituti scolastici lametini e al solito difetto di comunicazione, tra smentite, e-mail e l’annuncio di una «Pec violentissima».


LA STORIA EMBLEMATICA Difetto già evidenziato tuttavia nelle settimane precedenti attraverso le difficoltà di soggetti risultati positivi al Covid a rapportarsi con le istituzioni preposte. Come nel caso di D. C., giovane lametina, che ha raccontato al Corriere della Calabria la sua (dis)avventura, dai primi sintomi influenzali comparsi il primo novembre scorso, all’attesa fino al 10 novembre per il tampone chiesto dal medico all’Asp di Catanzaro, fino all’esito positivo al Covid arrivato solo il 20 novembre, ben venti giorno dopo rispetto ai primi sintomi.
«Mi ero comunque posta in auto isolamento – racconta D.C. – per prevenire eventuali contagi per i miei familiari. Dopo l’esito positivo del tampone, il sindaco ha emesso l’ordinanza di quarantena valida “fino alla cessazione dello stato patologico accertato dalla competente autorità sanitaria”. In termini spiccioli, senza un tampone con esito negativo eseguito dall’Asp uscire di casa avrebbe implicato da parte mia la violazione del Codice Penale».
Venti giorni per conoscere l’esito del primo tampone positivo, ma il viaggio attraverso la disorganizzazione dell’Asp continua: «Ho provato inutilmente a contattare il Dipartimento di Prevenzione di Lamezia Terme – racconta ancora – ma i telefoni erano staccati o squillavano a vuoto, nessuna risposta alle mie mail, né quelle inviate privatamente né i solleciti del medico curante trasmessi a mezzo Pec». La giovane lametina cerca allora di “delegare” un congiunto che si reca personalmente al Dipartimento di Prevenzione, ma senza ottenere informazioni se non solo generiche rassicurazioni sul fatto che il tampone sarà eseguito per certificare la negatività. «Nel frattempo – racconta D.C. – si susseguono notizie del potenziamento del sistema sanitario, come l’acquisto di un nuovo macchinario per processare più tamponi: di tutte queste migliorie, nelle quattro mura della stanza in cui vivo da oltre un mese, non arriva nessuna eco».
PAZIENTI IN OSTAGGIO Un racconto sentito molto volte nelle ultime settimane, lo specchio di un sistema contorto e confuso ma che si riflette negativamente sui pazienti e le proprie famiglie, troppo spesso ostaggio di una cronica disorganizzazione a volte incomprensibile.
«Mi rendo conto di non essere la sola in questa situazione – racconta infine D.C. – ma pur comprendendo l’enorme pressione sul sistema sanitario, mi chiedo se sia accettabile che in un Paese civile come il nostro, i più basilari diritti dei cittadini, come quello di conoscere il proprio stato di salute o vivere serenamente la malattia, vengano sistematicamente dimenticati. In altre zone d’Italia amici, colleghi e conoscenti in condizioni simili alle mie, con sintomatologia non grave, riescono in poche settimane a conoscere il loro stato di salute. Come spiegare loro che qui, in Calabria, non abbiamo forse gli stessi diritti?». (redazione@corrierecal.it)

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