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Sant’Onofrio, nella bottega di Salvatore Pronestì: «Non solo organista, anche organaro»

Il racconto dell’artigiano del Vibonese formatosi a Cremona al centro dell’episodio di questa sera di “Ti racconto un’impresa” in onda alle 21.20 sul canale 211 del digitale terreste e in streaming…

Pubblicato il: 14/01/2021 – 16:31
Sant’Onofrio, nella bottega di Salvatore Pronestì: «Non solo organista, anche organaro»

SANT’ONOFRIO La bottega organaria di Salvatore Pronestì, arriva in Calabria dopo la formazione della ditta a Cremona, in Lombardia. La scelta di impiantare l’attività nella regione d’origine è legata al maggiore contatto con la tradizione che si traduce oggi nella costruzione, restauro e manutenzione degli organi a canne. La storia è al centro dell’episodio di “Ti racconto un’impresa” in onda questo giovedì alle 21.20 sul canale 211 del digitale terreste e in streaming su L’altro Corriere Tv.

«Oggi – racconta Salvatore – l’ambiente è invaso da strumenti elettronici che tentano di scimmiottare il suono e le caratteristiche di un organo a canne risultando vincenti dal punto di vista economico ma ben lontani dal suono naturale prodotto dalle “canne sonanti” costruite a mano, una ad una, ed ognuna è uno strumento a sé». Avere mille canne in un organo è come avere mille strumentisti che suonano mille strumenti ed anche per questo, un organo a canne «è come un’orchestra, ma con un unico esecutore».
Salvatore inizia l’attività dopo gli studi classici e la sede di musicologia di Cremona è l’ambiente perfetto per intraprendere questa strada dove «la filosofia musicale diventa musicologia». Il mestiere viene appreso anche da alcune botteghe del nord, dove vengono «carpiti gli insegnamenti, anche non detti, nell’arte dell’intonazione e dell’intonatura».

La passione nasce molti anni prima, in parrocchia, quando Salvatore ascolta i primi pezzi su cassetta. «Nella nostra terra la figura dell’organista non è stata mai ben collocata ed anche per questo ho deciso di emigrare per approfondire quest’arte e poi riproporla al Sud». Un’arte che è un insieme di arti che parte dalla progettazione per passare alla falegnameria. «Noi non facciamo altro che plasmare ciò che in natura è già presente, come la musica».
Il territorio offre elementi particolari, come il legno di castagno che si adatta perfettamente alla costruzione dei flauti. Per altri materiali come rovere, frassino o abete c’è invece bisogno di rivolgersi al mercato esterno: «Ci preoccupiamo sempre di avere materia di prima scelta».
«Moltissimi compositori, come ad esempio il grande Bach, non sarebbero diventati tali se non fossero stati composte con questi strumenti al servizio delle liturgie sacre». Ma lo strumento negli ultimi tempi sta emergendo, cosa positiva ed al contempo «una limitazione» perché «l’organo all’estero viene impiegato anche in ambienti laici cosa che ancora in Italia non è stata del tutto recepita. Mi auguro che lo strumento possa in futuro essere collocato in situazioni che rendono possibile l’esecuzione della musica più varia».
Basti pensare che il più grande organo del mondo si trova in un Palaeventi: «Messaggio importantissimo perché veicola la musica dell’organo ad una platea più vasta».
I lavori di Salvatore sono stati tanti. Tra questi ricorda l’organo a canne inaugurato nella cittadina di Parghelia. «Anche una piccola comunità, quando è crescente del valore di un manufatto di questo tipo e del valore che acquisterà nel tempo – a differenza di un surrogato – investe su questo patrimonio che abbiamo il dovere di conservarli e manutenerli».
Salvatore, oltre che artigiano, è anche musicista: «Io mi trovo bene, quale che sia la mia veste: ho più approcci simili e riesco a farli convivere anche per una questione di necessità». Ci sono stati infatti momenti in cui il lavoro in laboratorio è stato più intenso e «si sentiva la mancanza dell’aspetto musicale». Ma «non mi fiderei mai di un meccanico che non sa guidare, dev’essere in grado lui di fare un giro di prova». Ben venga dunque l’organaro che è organista «perché questo aiuta a ripensare il risultato finale».
«Quando ho iniziato – conclude Salvatore – di organo parlavo solo io. Verso fine anni 80, all’accademia si parlava già di organo ma eravamo pochi. Più in avanti qualche giovane è venuto nella mia bottega e gli è rimasto l’amore per questa professione. Questo è positivo perché permette di conoscere anche la figura dell’organaro, che sembra quasi un termine dispregiativo mentre invece è molto importante e presente nella nostra terra da tantissimi anni. Basti pensare ai suonatori di zampogna che è lo strumento padre dell’organo».

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