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La riconquista del territorio della cosca Barreca e le trame economiche dei Condello

Due filoni d’indagine per un unico procedimento. Il boss va ai domiciliari e lavora per riprendere il controllo. Le nuove leve si fanno strada negli affari che contano

Pubblicato il: 16/02/2021 – 13:14
di Francesco Donnici
La riconquista del territorio della cosca Barreca e le trame economiche dei Condello

REGGIO CALABRIA Sono in tutto 28 le misure cautelari (25 in carcere e 3 ai domiciliari) eseguite dal comando operativo dei carabinieri di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Metameria”, coordinata dalla locale Direzione distrettuale antimafia. Oltre che nella città dello Stretto, il blitz dei carabinieri è scattato nelle province di Cosenza, Milano, Varese, Como, Livorno, Firenze e Udine. 
Un’indagine vasta sia in termini di contenuti che per la porzione di territorio interessata, poiché tocca non soltanto alcuni quartieri del Sud e del Centro città, ma anche la porzione tirrenica fino a proiettarsi in altri comuni. L’attività investigativa è divisa in due filoni che hanno portato ai rispettivi provvedimenti di convalida da parte dei gip Tommasina Cotroneo e Caterina Catalano.
Alle richieste cautelari, si aggiungono inoltre i provvedimenti di sequestro preventivo spiccati nei confronti di otto aziende operanti per la maggior parte nel settore dell’edilizia, per un valore di oltre 6 milioni di euro.
Le accuse mosse dalla procura agli indagati sono a vario titolo di associazione di tipo mafioso, intestazione fraudolenta di beni, estorsione.
Un’attività investigativa imponente, partita lo scorso 2018, quella svolta dalla procura guidata da Giovanni Bombardieri, e coordinata dai sostituti procuratori Walter Ignazzitto, Stefano Musolino e Giovanni Calamita.
Lo snodo cruciale di una parte dell’indagine, spiega il colonnello Marco Guerrini, è la scarcerazione – sostituita con la misura detentiva ai domiciliari per gravi motivi di salute – del boss dell’omonima cosca storicamente egemone sul quartiere di Pellaro, Filippo Barreca, classe 56. La malattia non si rivela altro che «una maschera», come la definisce il procuratore capo Bombardieri, dietro alla quale nascondere i progetti volti non solo alla riconquista, ma anche all’espansione del potere della sua cosca sul territorio di riferimento.
Per farlo, Barreca sfrutta proprio la malattia incontrando i reggenti delle altre famiglie – come ad esempio Carmine Di Stefano – durante le sue trasferte per le cure in ospedale e mandando “’mbasciate” anche fuori provincia, per intessere rapporti nel Crotonese.
L’altra parte riguarda da vicino la cosca Condello e si basa su dichiarazioni di una serie di collaboratori di giustizia che hanno trovato ampio riscontro attraverso una serie di elementi investigativi vecchi e nuovi.
«Due spaccati criminali che trovavano sintesi nei rapporti tra le diverse “famiglie”», spiega Bombardieri: «Dinamiche criminali ricostruite nella loro interezza già in altre indagini come “Malefix” e “Pedigree”, che hanno trovato ampio riscontro nell’operazione odierna».
«Un’operazione estremamente importante» la definisce il colonnello dell’Arma dei carabinieri Massimiliano Galasso, che parte dai settori di tradizionale interesse dei militari, come il monitoraggio dei quartieri di Pellaro o Archi, e arriva fino alle complesse investigazioni del settore economico e della penetrazione delle cosche nel comparto edile. Un’attività, quella dell’Arma, che il maggiore Tedeschi descrive come «in sinergia con tutte le diverse componenti impiegate».

Bombardieri Reggio
Il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri

Primo filone: la riconquista di Pellaro da parte di Filippo Barreca

«A fronte delle risultanze investigative siamo giunti alla conclusione che la detenzione domiciliare di Filippo Barreca non era in grado di tutelare la collettività dal pericolo di reiterazione di reati». Il procuratore Bombardieri giustifica così la misura cautelare della custodia in carcere applicata al boss.
Era passato ai domiciliari a fronte delle gravi condizioni di salute accertate in un periodo in cui agli occhi di molti il suo clan pareva aver perso potere nel quartiere di riferimento, Pellaro (che si estende nella zona sud di Reggio insieme a Bocale e Lazzaro). Ma appena lasciato il carcere, Barreca si è impegnato attivamente a «riorganizzare la propria cosca rivendicando il territorio di appartenenza». Diversi gli episodi che simboleggiano questa sua volontà estrinsecata attraverso «episodi estorsivi, continuo ricorso alla violenza e indicazioni operative che venivano fornite ai suoi sodali». Barreca viene subito in contatto con le cosche delle altre zone della città.
«In alcun modo – dice il procuratore Bombardieri – la sua capacità di relazione viene scalfita dalle condizioni di salute che lo avevano portato alla detenzione domiciliare». Filippo Barreca intrattiene incontri e dà direttive oltre che dalla propria abitazione anche quando si recava in ospedale per le cure, «approfittando di questi suoi trasferimenti per organizzare incontri con altri soggetti – anche loro attinti dalla misura cautelare – per interloquire sulle dinamiche criminali che lo vedono protagonista».
Emerge fin da subito la ferma volontà del Barreca di rivendicare la possibilità di chiedere il “pizzo” per tutte le attività operanti nella sua zona. Alcune volte imponendosi, altre arrivando alla mediazione con le altre cosche. La scalata del Barreca parrebbe essere facilitata dalla sua storia criminale, come attestano alcune vicende quali ad esempio quella delle richieste estorsive ad una ditta incaricata della difesa costiera nella zona tirrenica.
«Emblematica è la vicenda dell’estorsione ai danni della Conad di Pellaro che fino al ritorno sulla scena di Barreca era stata appannaggio della cosca “Ficarra-Latella”. Appena rientrato, anche grazie alla mediazione dei De Stefano, lui stesso impone che il pagamento del “pizzo” avvenga non più a favore della cosca del quartiere di Croce Valanidi, ma in favore della propria “competente per territorio”».
La capacità di Barreca di imporre il proprio volere emerge ad esempio da alcune conversazioni dove dice chiaramente: «A Pellaro gli ho mandato dire… se prima non mi dai i soldi, tu non apri. Questo viene qua a fare quello che vuole…e io che sto a fare?». E aggiunge: «Se non facciamo qualcosa a sta gente, non ne aggiustiamo cose». Nel fare riferimento ad un imprenditore sottolinea, rivolgendosi ai suoi sodali «che non si inventano storie…se non ci portano i soldi, da oggi in poi, lavori non ne fanno più né a Saline, né a Pellaro, né a Lazzaro. In nessun posto…nemmeno a Reggio».
Ma «l’arroganza criminale» con la quale Barreca avrebbe gestito il suo potere sul territorio emerge anche da altre vicende, come l’intimidazione ai danni di un operatore ecologico che si era rifiutato di raccogliere i rifiuti nei pressi della casa del boss in quanto non erano stati correttamente differenziati. Nel racconto fatto da Barreca a un suo amico, non solo lo avrebbe preso a bastonate, ma gli avrebbe anche detto: «Tu qua i rifiuti li devi prendere senza dire niente. Anzi…posi il furgone, torni con la tua macchina e raccogli i rifiuti. E se trovi delle pietre raccogli pure le pietre».

I rapporti coi De Stefano e i Libri

Diversi gli episodi significativi che coinvolgono anche altre “famiglie” storiche di Reggio Calabria oltre ai Barreca e ai Condello. Su tutte, gli inquirenti fanno riferimento ad una serie di episodi che vedono la partecipazione della cosca De Stefano, chiamata a mediare tra i Barreca e altre cosche per la spartizione del territorio, oltre che a fungere da canale con le cosche Crotonesi. «Barreca – racconta la procura – avrebbe mandato a dire al boss Carmine De Stefano che avrebbe mandato una ‘mbasciata a Pasquale Nicoscia affinché gli facesse intrecciare contatti coi Grande Aracri».
Altra vicenda coinvolge la cosca Libri. «Significativo il fatto che a Barreca, il giovane Totò Libri, che lui non conosce, venga presentato come il responsabile dei lavori al “centro Sant’Anna-Cannavò-San Sperato”». La conversazione che ne segue viene definita come un «manuale di ‘ndrangheta» con una reciproca messa a disposizione tra le cosche.

Secondo filone: gli interessi economici della cosca Condello

Il secondo filone relativo all’ordinanza emanata dal gip Caterina Catalano, riguarda invece la cosca Condello, con riguardo al quartiere Archi. Al centro le figure di Demetrio e Giandomenico Condello, rispettivamente classe 79 e 80. I due vengono chiamati in causa quali «attuali vertici del clan» in numerose occasioni da collaboratori di giustizia quali ad esempio Lucibello, Chindemi o Liuzzo. «Dichiarazioni che hanno trovato concreto riscontro nelle attività tecniche e di investigazione svolte dall’Arma carabinieri e da una vasta serie di intercettazioni pregresse e più recenti».
In particolare, il filone d’indagine riguarda «gli interessi economici della cosca e la sua proiezione in alcune aziende».
Tra le vicende di maggiore rilievo e le imprese convolte nell’indagine, gli inquirenti segnalano diversi nomi, vittime nel primo filone e in qualche modo collegati alle cosche nel secondo.
In tal senso, il riferimento va su tutti a Nicola Pizzimenti, Santo Germanò, Luigi Germanò e Francesco Giustra. Nell’ordinanza sono qualificati come “imprenditori collusi”. Vengono prese in esempio alcune vicende, come quella della vendita del parco veicoli della Leonia. «In un primo momento dovevano essere venduti singolarmente, che poi sono stati venduti come un unico complesso attraverso la società di Francesco Giustra finanziata grazie all’opera di Nicola Pizzimenti attraverso un’altra società che veniva da fuori».
Altre vicende toccano la “Nautica Gallicese” «nella quale hanno operato come soggetti favoriti e soci occulti gli Giuseppe Aramiti che si era aggiudicato una concessione balneare». Altri soggetti attenzionati dalla vicenda sono i fratelli Bruno e Giovanni Trapani in relazione alle attività edilizie nella nuova terra dello Stretto, subentrando a Salvatore Saraceno «attraverso tutta un’attività di realizzazione di imprese e di operatività che aveva seguito all’arresto di quest’ultimo». (redazione@corrierecal.it)

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