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Estorsioni agli imprenditori. Le vittime denunciano gli uomini del clan Muto. «A casa mia si lavora»

I tentativi di estorcere denaro alle vittime che si ribellano. «Non vi dovete permettere, i soldi a casa mia li ho sempre amministrati io»

Pubblicato il: 10/03/2021 – 20:08
di Fabio Benincasa
Estorsioni agli imprenditori. Le vittime denunciano gli uomini del clan Muto. «A casa mia si lavora»

COSENZA Non solo droga. Il traffico di stupefacenti è sicuramente uno dei business illeciti più remunerativi per la cosca Muto, ma non l’unico. Il ricorso alle estorsioni diventa quasi necessario, quando un gruppo criminale intende esercitare il controllo sul territorio, imponendo il pizzo a imprenditori e commercianti. I denari ricavati dalle attività illecite vengono reimpiegati sia per aumentare la consistenza della “bacinella comune” e sia per finanziare le famiglie dei detenuti. Capita, non spesso purtroppo, che qualcuno non accetti di sottostare alle rigide regole imposte dal clan e trovi il coraggio di denunciare tutto alle forze dell’ordine. E’ quanto accaduto nel corso delle indagini svolte dai carabinieri di Cosenza, Paola e Scalea nell’ambito dell’inchiesta “Katarion” che ha assestato un duro colpo ai sodali della cosca Muto di Cetraro.

L’imprenditrice coraggiosa

I militari della Compagnia Carabinieri di Scalea, a seguito della denuncia di alcune vittime, hanno documento due tentativi di estorsione sicuramente annoverabili tra quelli posti in essere dall’organizzazione criminale oggetto d’indagine. Il primo tentativo di estorsione documentato, è quello posto in essere nei confronti dell’amministratrice di una impresa di Belvedere Marittimo. La donna ha fornito ai carabinieri registrazioni audio e riprese video tratte dal sistema di sicurezza del punto vendita dove sono avvenute le condotte estorsive denunciate. «Nel mese di marzo del 2017, un uomo si è recato presso il punto vendita e, qualificandosi come cetrarese, ha chiesto alle commesse presenti nel negozio di parlare personalmente con la proprietaria. Constatata l’assenza della titolare dell’esercizio commerciale, il cetrarese si è allontanato riservandosi di farsi vivo in seguito». L’imprenditrice dopo ripetute telefonate ricevute ed alcuni appuntamenti rinviati, ha deciso di fissare un incontro «registrando parte del colloquio con il suo telefono cellulare. L’anonimo interlocutore, presentatosi come Franco Scorza, ha affermato di essersi recato al negozio su mandato del cognato Michele Iannelli (noto esponente della criminalità organizzata cetrarese, sottoposto agli arresti domiciliari) per riscuotere un presunto credito vantato nei confronti del defunto marito della donna». Un conto stimato in circa 20.000 euro e che la donna non intende pagare: «Non vi dovete nemmeno permettere, perché i soldi a casa mia, li ho sempre amministrati io. A casa mia si lavora».

Il contenzioso da risolvere

Nel secondo episodio riportato dagli inquirenti nelle carte dell’inchiesta, vittima delle richieste estorsive del clan è un imprenditore di Scalea. Nel formalizzare la denuncia, il titolare dell’impresa suinicola «ha citato una controversia sorta con un venditore di mangimi, colpevole – a suo dire – di aver ceduto una partita di prodotti avariati». La vendita avrebbe portato le parti ad aprire un contenzioso, poi risolto (almeno sulla carta) con un accordo bonario. A distanza di tempo, «l’imprenditore verrà contattato da Franco Scorza che – come accaduto nel precedente episodio – chiederà un incontro per stabilire le modalità di pagamento delle somme dovute». Il titolare dell’impresa, a quel punto, «registrerà la telefonata e risponderà minacciando di denunciare quanto accaduto», nonostante tutto però continuerà a ricevere richieste di pagamento. In una telefonata con un amico, l’imprenditore si sfogherà: «mi conosco e ripeto, ultimamente sono un po’ arrabbiato con tutto e con tutti, poi va a finire che … eh, capisci a me …». «La pretestuosità delle ragioni addotte da Scorza», secondo gli investigatori, «lasciano pochi dubbi sul carattere indebito della pretesa avanzata nei confronti dei due imprenditori e sulla modalità mafiosa dell’azione». Motivo che spinge chi indaga a considerare Franco Scorza «intraneo alla criminalità organizzata cetrarese». (redazione@corrierecal.it)

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