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Mantella racconta la guerra di mafia vinta dai Bonavota. «Lo Bianco cancellati, Mancuso in difficoltà»

Il pentito è stato ascoltato nel processo “Fenice-Carminius” sulla ‘ndrangheta in Piemonte. «C’era una black list di persone da uccidere»

Pubblicato il: 14/04/2021 – 11:41
Mantella racconta la guerra di mafia vinta dai Bonavota. «Lo Bianco cancellati, Mancuso in difficoltà»

TORINO «La guerra è finita con la vittoria dei Bonavota. Hanno vinto sul campo. Non c’è trippa per gatti». Così il pentito Andrea Mantella, uno dei testi chiave del maxi processo Rinascita-Scott, in corso a Catanzaro, ascoltato oggi a Torino nell’ambito di un altro processo di ‘ndrangheta, chiamato Fenice-Carminius, celebrato dal tribunale di Asti.
Mantella ha raccontato di essere «nato» nel clan Lo Bianco «da ragazzino», e poi di avere formato un proprio «gruppo militare autonomo» che si alleò con altre cosche, tra cui i Bonavota, in opposizione ai Mancuso. Nella guerra che ne seguì «i Lo Bianco furono quasi cancellati, i Mancuso furono messi in difficoltà».
Il collaboratore, che si è attribuito «tanti omicidi», ha parlato di una “black list” di persone da uccidere. In due casi, però, non si fece nulla. Il primo fu quello di Rosario Petrolo, «che era all’ergastolo per la cosiddetta Strage dell’Epifania del 1991, diretta contro i Bonavota, dove morirono persone innocenti. Sapendo che forse gli stavano per dare un permesso premio, vennero da me e mi dissero “compare Andrea, due polli in un pollaio non ci possono stare: se esce devi ucciderlo”. Il secondo riguardava un boss “ma intervenne la “‘ndrangheta madre” e, dopo la loro mediazione, non intervenimmo».

«Ho capito gli errori che ho fatto»

«Se sono degno di essere definito collaboratore di giustizia lo decideranno gli onorevoli giudici. Io mi sono pentito perché ho capito gli errori che ho fatto», ha detto ancora Mantella. «Mandai dei killer a Torino – ha detto ricostruendo un episodio di alcuni anni fa – per uccidere Antonino Defina, che dava fastidio ai Bonavota (e ai loro parenti della famiglia Arona, operativi a Carmagnola, ndr) nell’edilizia e si stava facendo un gruppo autonomo. L’omicidio non ebbe luogo perché gli esecutori furono fermati e controllati da una pattuglia delle forze dell’ordine. In Calabria uccidemmo il suo braccio destro, Domenico Di Leo: lo massacrammo a colpi di kalashnikov sotto casa sua. Io però rimasi in auto: spararono due miei discepoli che volevano imparare il mestiere. Ma Defina era più intelligente di lui. Mi sfuggì parecchie volte dalle mani».

Il giudice nel mirino

Mantella, sentito dai pm della Dda di Torino, Monica Abbatecola e Paolo Toso, ha riferito inoltre che «la ‘ndrangheta voleva colpire un magistrato in servizio a Torino». Una volontà che Mantella fa risalire a un colloquio con Francesco D’Onofrio, originario di Mileto, ma residente a Nichelino, ex militante di Prima linea di recente condannato in Appello per associazione mafiosa, così come riporta il Corriere.it. «In carcere – ha messo a verbale – D’Onofrio mi disse che aveva dell’astio nei confronti della magistratura torinese. Diceva che le Dda di Reggio e di Torino gli avevano fatto delle tragedie e che lo stavano rovinando e per questo bisognava prendere dei provvedimenti su alcuni magistrati, sia in Calabria che a Torino. Mi ha detto che c’era un procuratore che gli stava alle calcagna: non mi ricordo il nome di costui, ma mi disse che questo magistrato avrebbe dovuto fare la fine di quell’altro magistrato di Torino che era stato ucciso (Bruno Caccia ucciso nel 1983 a Torino, ndr)».

«A Carmagnola come in Calabria»

«A Carmagnola come in Calabria: si facevano le stesse cose», ha detto ancora il collaboratore di giustizia. Secondo Mantella, infatti, a Carmagnola «la famiglia Arone e il clan Bonavota sono la stessa cosa: stessa fazione, stessa potenza. E guarda caso in questo paese ci sono tradizioni della Calabria. Compresa l’affruntata, che è una manifestazione religiosa tipicamente calabrese. I Bonavota sono a Carmagnola e si fa, i Bonavota sono a Toronto e si fa. Guarda caso». Sempre secondo il collaboratore, a Carmagnola il “capo” è «Salvatore Arone, che rappresenta i Bonavota e che negli ambienti è rispettato come un santo o un padre Pio».

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