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Rinascita, Mantella: «Mi ero impadronito di Villa Verde. Feci licenziare dottori che non mi piacevano»

Il collaboratore di Vibo racconta dei raggiri per evitare il carcere. E sui riti della criminalità: «Cavolate che mi hanno rovinato la vita»

Pubblicato il: 23/04/2021 – 7:55
di Alessia Truzzolillo
Rinascita, Mantella: «Mi ero impadronito di Villa Verde. Feci licenziare dottori che non mi piacevano»

LAMEZIA TERME «Luigi Mancuso era giudicata una persona fine. Se fosse stato per lui tante disgrazie si sarebbero evitate». Al contrario Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”, che ha detenuto il potere durante un periodo di carcerazione di Luigi Mancuso, «era una persona che non aveva rispetto per nessuno. Era così maleducato che veniva voglia di tirargli il collo». E ancora: «Il ramo ‘Mbrogglia dei Mancuso quando c’era sangue si comportava come in una macelleria». I Piscopisani? «Erano ragazzi sballati di testa che volevano uccidere tutti». Giudizi tranchant quelli che lascia cadere – in collegamento con l’aula bunker di Catanzaro – il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, 49 anni e una carriera criminale iniziata ad appena 12 anni.

La soffiata sulle operazioni e le frizioni tra Procure

«Andrea ci arrestano. Tu avevi una microspia in macchina». Siamo nel 2004, Paolino Lo Bianco è preoccupato teso. Ha appena saputo che ci sono due operazioni pronte a partire: una era dell’allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Marisa Manzini. Si chiamava “Nuova Alba”. L’altra era del sostituto procuratore di Vibo, Peppe Lombardo, “Asterix” e comprendeva una serie di ipotesi di reato che avrebbero seriamente danneggiato la cosca Lo Bianco-Barba alla quale Mantella apparteneva. «In realtà ci danneggiava più “Asterix” che “Nuova Alba” – dice Mantella – tanto che la Manzini voleva accorpare le due inchieste e per questo motivo nacquero frizioni tra lei e Peppe Lombardo».
«Come ha fatto a venire a conoscenza di queste dinamiche interne tra Procure?», chiede il sostituto procuratore di Catanzaro Annamaria Frustaci.
«Lo so perché me lo ha detto la fazione di Pantaleone Mancuso alias “Vetrinetta” forse attraverso qualcuno della massoneria». Tornando a monte. Il primo pensiero di Mantella e compagni, appena appreso delle operazioni imminenti è come fare ad aggiustare la situazione.
«E come l’aggiustiamo mo?», chiede Mantella a Paolino Lo Bianco. Quest’ultimo decide di non chiamare il padre Carmine a quell’ora di notte. Aspettano, cercano di salvarsi ma la notizia arriva impietosa: «Non si può fare nulla».
«Io nel frattempo mi ero reso irreperibile», racconta Mantella che si è dato alla latitanza dal marzo 2005 al febbraio 2006 per evitare la retata di “Asterix”. «Poi mi hanno catturato nella mia azienda», dice.

I soggiorni a Villa verde

«Villa verde è una clinica psichiatrica che si trova a Donnici, in provincia di Cosenza». Per Mantella è stata il buen retiro al posto delle angustie del carcere. Lui racconta di esserci finito dentro grazie ai buoni “uffici” operati dagli avvocati e corrompendo periti che avallarono la sua simulata depressione. «Essendo detenuto con un reato ostativo – spiega Mantella – non potevo uscire dal carcere se non per una ragione di incompatibilità per motivi di salute», racconta. Ma la depressione «era tutta una barzelletta. Tutti in carcere fanno i depressi, si fanno crescere la barba, stanno con le stampelle. Poi escono e li trovi che vanno a giocare a tennis».
Il racconto di Mantella ricalca in maniera quasi speculare quello reso, nel corso di un altro processo da Samuele Lovato, collaboratore di giustizia in passato intraneo alla cosca Forastefano attiva nella Sibaritide.
«Essendo detenuto con un reato ostativo – spiega Mantella – non potevo uscire dal carcere se non per una ragione di incompatibilità per motivi di salute». Mantella ricorda che in carcere c’era Samuele Lovato «del clan del Timpone rosso», e «un tale Bevilacqua del clan degli zingari di Cosenza appartenente al gruppo di Franco Abbruzzese detto “mezzodente”».
Mantella godeva di privilegi maggiori rispetto agli altri. Aveva sganciato un bel po’ di soldi al primario Arturo Ambrosio che secondo Mantella «anche lui appartiene alla massoneria deviata». «Gli feci un sacco di regali, gli arredai un b&b, rolex, un’auto da 60mila euro. Però alla fine mi ero impadronito io della clinica Villa Verde. Io avevo camere bonificate, schede telefoniche intestate agli altri pazienti. Addirittura facemmo licenziare anche dottori che non erano di mio gradimento. Avevo una stanza dove facevo le grigliate di pesce. Ricevevo gente. Feci scendere di sotto, nel reparto dei vip, sia Lovato che Bevilacqua».

Guantiere di dolci con denaro

«A Villa verde ricevevo una miriade di visite. Russo era un imprenditore di automobili di Vibo, vicinissimo ai Piromalli, che veniva a trovarmi. Un pomeriggio mi portò un vassoio di dolci e mi fece cenno che dentro c’erano delle banconote. Presi i soldi e offrii i dolci a Lovato». A Ville Verde lo andavano a trovare anche i suoi uomini, quelli che Mantella chiama «la mia manovalanza»: Salvatore Mantella, Salvatore Morelli («mio erede naturale oggi che non ci sono più»), Domenico Macrì, Domenico Tomaino, Antonio Pardea». All’interno di Villa Verde, Mantella riesce, nonostante quello che doveva essere un regime di carcerazione domiciliare, ad avere notizie dall’esterno.
Mantella riesce, con lo stesso sistema di false perizie, a fare uscire dal carcere e ricoverare a Villa Verde anche Francesco Scrugli.
«Io sapevo che Scrugli sarebbe stato scarcerato ancora prima che ci fosse l’ufficialità della notizia. Questo per farvi capire l’importanza e la spinta che c’era».
La mattina che sono venuti ad arrestarmi per associazione mafiosa io me ne accorgo perché stavo in campana che ci sarebbe stato un certo movimento. Conoscevo già il contenuto delle accuse, sapevo che non c’erano omicidi. Quella mattina alle 3 mi accorgo che sono arrivati i poliziotti con le macchine in borghese allora ho preso le chiavi che avevo, sia dell’ascensore che delle porte secondarie. Ma come vado ad aprire la porta c’era un poliziotto che mi dice “dove vai?”».

«Buon vespero» e le formule che fanno comodo alla ‘ndrangheta

A Mantella oggi non piace parlare di formule e riti di affiliazione. Di più: si imbarazza. Deve ripetere una formula del battesimo. All’inizio la recita velocemente, tra i denti. Non si sente niente, non capisce. Il pm Annamaria Frustaci lo invita a ripeterla «anche se la imbarazza». Mantella si rassegna, la vuole ripetere una volta sola e intima il presidente del collegio Brigida Cavasino a prestare attenzione: «State accorta presidente». Poi ripete: «Buon vespero, buon vespero, siate conformi, saggio compagno… insomma tutte queste cavolate qui. Ha capito presidente? mi dica di sì». Dice che una volta ci credeva alla fascinazione della ritualità poi ha affermato che «sono rituali che fanno comodo alla ‘ndrangheta. Perché io sono stato un idiota e ci ho creduto pure io alla ‘ndrangheta e mi sono rovinato la vita mentre gli altri ne hanno fatto profitto. Quando poi ho capito il sistema allora a quel punto ho detto è meglio fare business che fare chiacchiere così qualcosa ti rimane in tasca». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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