SAN GIOVANNI IN FIORE Il 9 gennaio 2018, i carabinieri eseguono la maxi-operazione denominata “Stige” della Dda di Catanzaro che porterà all’arresto di 169 persone ritenute, a vario titolo, legate alla cosca Farao-Marincola di Cirò Marina. L’azione degli investigatori parte dalle coste crotonesi e raggiunge l’entroterra dei monti silani. Nel blitz vengono coinvolti anche i componenti della famiglia Spadafora (Luigi, Giovanni, Antonio, Pasquale, Rosario) di San Giovanni in Fiore, imprenditori nel settore dei tagli boschivi. L’accusa nei loro confronti è grave, per chi indaga sarebbero il tramite attraverso il quale la cosca di ‘ndrangheta «monopolizza, per tutto l’altopiano silano, gli appalti, pubblici e privati, per il taglio boschivo, compiendo atti di concorrenza sleale mediante violenza, con l’impiego di metodo mafioso, al fine di annichilire ogni possibile concorrenza».
Sulla Sila, a cavallo tra Crotone e Cosenza, la cosca avrebbe costituito un vero e proprio cartello di controllo dei boschi, manipolando ed indirizzando l’aggiudicazione delle gare d’appalto boschive con metodo mafioso, imponendo il controllo anche attraverso alcuni danneggiamenti alle ditte che non si allineavano alle direttive imposte dalla criminalità organizzata. Inoltre, proprio grazie alla gestione dei boschi della Sila, gli Spadafora erano stati utilizzati per garantire, negli anni, la latitanza di elementi di spicco della cosca Farao-Marincola a cui, di fatto, facevano capo. Per tali accuse, lo scorso nel febbraio 2021, gli Spadafora sono stati condannati, dal Tribunale di Crotone, a più di 60 di carcere: il capo famiglia, Luigi Spadafora (attualmente agli arresti domiciliari) alla pena di anni 15 di reclusione, mentre i suoi tre figli, Pasquale, Rosario e Antonio (tutti detenuti in carcere), rispettivamente a 20, 14 e 14 anni di reclusione. Su di loro grava, anche la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza.
A distanza di tre anni dalla maxi retata, questa mattina la Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri ha ordinato il sequestro dei beni pari a 50 milioni di euro nella disponibilità di Luigi Spadafora (classe 1951) e dei figli Pasquale (classe 1976), Rosario (classe 1987) e Antonio (classe 1983). Alla base della richiesta risiede la ricostruzione della situazione reddituale del nucleo familiare oggetto di indagine e in particolare l’esistenza di «importi che risultano del tutto inadeguati a permettere l’accumulo dei beni di cui è stato richiesto il sequestro». Il compendio di beni nella disponibilità degli Spadafora è rappresentato da società, terreni e numerosi automezzi «oggetto di cessione interna tra i fratelli e le società a loro riconducibili». Oltre alle società “F.lli Spadafora Srl”, la “Spadafora Legnami Srl”, la “Famiglia Spadafora società semplice agricola”, è stato chiesto il sequestro anche di un’impresa individuale che fa a capo a Pasquale Spadafora, di un’altra ditta intestata a Rosario Spadafora e infine di un’azienda agricola, avviata nel 2017 e intestata alla moglie di quest’ultimo, dedicata «all’allevamento di bovini e bufale da latte e produzione di latte». Si tratta di una società che pur «formalmente appartenente ad un soggetto terzo può dirsi – secondo l’accusa – riconducibile a Rosario Spdafora». Secondo gli investigatori, sarebbe Pasquale Spadafora «il più attivo sul piano criminale rispetto ai propri fratelli e probabilmente si sarebbe spogliato della gran parte dei beni per evitare possibili aggressioni patrimoniali».
L’attività della società Spadafora Legnami Srl risulta strettamente connessa ed in sinergia con quella dei Fratelli Spadafora Srl. «Le due società – secondo chi indaga – si caratterizzano per la gestione unitaria dei fratelli che le utilizzano, a seconda della necessità, per lo sfruttamento delle risorse boschive». Un’ipotesi frutto di una controllo effettuato dai carabinieri del Ros presso l’azienda Fratelli Spadafora Srl, e che ha permesso di recuperare alcuni contratti sottoscritti con una società di energia (che gestisce la centrale a biomassa di Laino Borgo) e con un’altra impresa (che gestisce la centrale a biomassa di Strongoli) stipulati da entrambe le società. I fratelli avrebbero utilizzato «un capitale pari a circa un milione di euro, sfuggito ad ogni rendicontazione, per impegnarlo nell’acquisto di immobili a San Giovanni in Fiore». Il prossimo 21 giugno nel Palazzo di Giustizia di Catanzaro, è prevista l’udienza di discussione della proposta di applicazione del sequestro e confisca avanzata dalla procura di Catanzaro.
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