LAMEZIA TERME Una densa coltre di fumo, al sapore di diossina, asfissiante e opprimente, ha accompagnato la notte, lunghissima, di Lamezia Terme. È questo quel che resta a poche ore di distanza dallo spegnimento dell’imponente incendio divampato, nel pomeriggio, nei pressi del campo rom di Scordovillo (QUI LA NOTIZIA). Un rogo enorme e spaventoso, per proporzioni e conseguenze visibili da ogni punto della città e anche oltre, e i video e le foto postate sui social da cittadini, politici e associazioni del territorio lo testimoniano: alte colonne di fumo nero hanno prima investito le strade e le abitazioni vicine, poi ha letteralmente invaso il vicinissimo presidio ospedaliero, il “Giovanni Paolo II”, in spregio anche al vicinissimo commissariato di Polizia.
Un incendio di grandi proporzioni, dunque, come non se ne vedevano da tempo. Ad andare a fuoco, tra le sterpaglie, i soliti pneumatici che abitualmente vengono trasportati e scaricati in quella zona. L’episodio è preoccupante, a cominciare dalle ricadute potenziali sulla salute pubblica, ancora una volta messa a dura prova dall’invasione del fumo nero in piena stagione estiva, così come la pazienza dei cittadini lametini, ma anche perché arriva in piena estate e solo a poche settimane di distanza dall’operazione coordinata dalla Procura di Catanzaro. (QUI LA NOTIZIA)
Insomma, a Lamezia – come accade ciclicamente da qualche lustro – si ritorna prepotentemente a parlare dell’emergenza rom, e la discussione (è il caso di dirlo) torna ad infiammarsi. L’imponente rogo divampato ieri pomeriggio preoccupa anche per le possibili ricadute sulla salute pubblica dei cittadini, inermi e impotenti davanti all’ennesimo scempio ambientale. Senza contare che i fumi tossici hanno invaso il vicinissimo ospedale, mettendo a rischio anche la tutela dei pazienti. Ma il rischio che le chiacchiere, così come i roghi di Scordovillo, vadano in ancora in fumo, è molto elevato. Anche all’indomani dell’ultimo rogo targato Scordovillo, infatti, in tanti (forse troppi) iniziano a proporre idee, soluzioni, alternative e progetti e a sottolineare quanto la politica degli ultimi due decenni sia stata fallimentare. Smentire queste teorie – peraltro supportate da fatti incontrovertibili – è un esercizio assai complicato, impossibile.
È altrettanto vero che non basta certo “spostare” letteralmente il “problema” per risolverlo definitivamente. L’ultima operazione ha messo in luce la stretta collaborazione (al netto dei giudizi di eventuali processi) tra alcuni cittadini di etnia rom e alcune imprese lametine che si occupano dello smaltimenti dei rifiuti. Altrimenti quei pneumatici in fiamme, da dove arrivano? Stroncare questo legame è, dunque, la prima soluzione. E poi c’è la tanto sognata “integrazione”. Difficile, a tratti impossibile, ma il ghetto di Scordovillo – tra i più grandi d’Europa per dimensioni e popolazione residente – è probabilmente uno dei più grossi esempi del fallimento politico-istituzionale. Ma non serve parlare di ruspe, abbattimento e bonifica dell’area (quanto mai necessaria) e neanche di “spostamento” degli abitanti in altre zone della città se prime non si innescano quei processi di integrazione sociale che ancora assomigliano ad un lontano miraggio, forse offuscati proprio dal fumo nero di Scordovillo. Solo qualche settimana fa era stato predisposto lo stanziamento di oltre 55mila euro per «la rimozione dei rifiuti e la bonifica dell’area di via Paul Harris che conduce al campo rom di Scordovillo» mentre si ipotizza anche lo stanziamento di ulteriori 250mila euro.
E così Lamezia, anche dopo l’ennesimo rogo, si ritrova a fare i conti con l’impotenza dei cittadini, esasperati e travolti da un problema troppo grande, e l’incapacità di politica e istituzioni di individuare una soluzione concreta e di metterla in pratica, e non solo attraverso comunicati stampa. Il rischio, già calcolato, è che di Scordovillo e dei suoi abitanti se ne ritorni a parlare solo dopo l’ennesimo rogo. Per la salute dei cittadini lametini se ne riparlerà un’altra volta. (redazione@corrierecal.it)
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