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La «scelta per amore» che allontana dalla criminalità, Falvo: «Donne sottovalutate per troppo tempo»

Il procuratore di Vibo al convegno dell’Istituto Italiano di Criminologia. «Alcune collaborano, altre tramandano la cultura mafiosa ai figli»

Pubblicato il: 24/09/2021 – 10:03
di Giorgio Curcio
La «scelta per amore» che allontana dalla criminalità, Falvo: «Donne sottovalutate per troppo tempo»

VIBO VALENTIA La ribellione delle donne come lotta possibile (e credibile) alla criminalità organizzata. Negli anni questa teoria ha assunto i contorni di una verità, certificata e cristallizzata dai fatti di cronaca e dai risvolti giudiziari. Le vicende degli ultimi due decenni hanno così permesso di acquisire conoscenze prima ignorate o poco considerate, comprendendo la reale importanza del ruolo della donna all’interno delle famiglie di ‘ndrangheta o della criminalità organizzata in generale, nel bene e nel male. 

L’emancipazione femminile

E le storie sono qui a ricordarcelo: basti pensare a Maria Concetta Cacciola, nipote del boss Bellocco e vittima innocente di ‘ndrangheta e trovata morta, nel 2011, nel bagno di casa per aver ingerito acido muriatico dopo aver deciso di collaborare con la giustizia per poter offrire (sperava) un futuro migliore ai figli. Storia simile a quella di Santa “Tita” Buccafusca, moglie del boss Pantaleone “Luni Scarpuni” Mancuso, morta nello stesso anno e anche lei per aver ingerito una quantità eccessiva di acido, dopo aver deciso di collaborare.  Sono solo due esempi dei terribili e temili risvolti legati all’emancipazione femminile all’interno dei contesti di ‘ndrangheta. Un tema tanto delicato quanto decisivo, e di cui si è discusso a Vibo Valentia, all’Istituto Italiano di Criminologia nel corso di un convegno che ha visto una nutrita presenza di pubblico e di ospiti come la giornalista di Repubblica, sotto scorta, Federica Angeli, e il procuratore capo di Vibo Valentia, Camillo Falvo. 

Falvo: «Il ruolo delle donne è stato sottovalutato»

«Quello delle donne – ha spiegato proprio il procuratore – è un ruolo che è stato sottovalutato per tanti anni, le prime sentenze risalgono solo alla fine degli anni ’90 ed è invece di un’importanza fondamentale, soprattutto rispetto al fenomeno della collaborazione con la giustizia, sia quando sono esse stesse protagoniste, sia con il ruolo che assumono spesso strumentalizzando i figli, cercando di far ritrattare chi decide di collaborare, altre volte spingendo i mariti, i padri, il fratello e i figli a fare questa scelta». 

I contributi fondamentali

Ci sono donne che hanno pensato di poter fare una scelta di libertà come Cacciola e Buccafusca, senza riuscirci, altre invece ce l’hanno fatta. Come Loredana Patania, che iniziò la collaborazione con la giustizia dopo l’omicidio del marito Giuseppe Matina o Ewelina Pytlarz, ridotta in schiavitù dal marito, Domenico Mancuso, diventata testimone di giustizia a partire da dicembre 2013. «Hanno dato un contributo importantissimo – ha ricordato Falvo – sebbene fossero di estrazione diversa ma il tratto che le caratterizza è lo stesso, una scelta per amore che le allontana dalla criminalità e le avvicina allo Stato». Non meno importante l’aspetto pedagogico, considerato “bifronte” dal procuratore di Vibo: «Queste donne per un verso sono custodi della cultura criminale e la tramandano ai figli. Talvolta alcune sono accusate di non saperlo fare e decidono poi di collaborare proprio per via di come vengono trattate e per non aver sposato del tutto questa scelta. Altre invece sposano in pieno la mentalità e la coscienza criminale e la tramandano ai figli, dando linfa alle organizzazioni criminali». (redazione@corrierecal.it)

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