PALERMO Si è concluso all’insegna della riflessione il Festival della Legalità-Collegamenti, che si è svolto nell’arco di cinque giorni a Canicattì, la città dei giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta. A testimoniare che si può sempre scegliere, nonostante si cresca «in mezzo a cose terribili», è stato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci, anche lui originario di Canicattì, che ha dialogato con gli alunni della scuola media “Giovanni Verga”.
«Io sono cresciuto assieme a ragazzi di questa città che poi hanno preso strade opposte alle mie, alle scuole elementari ero compagno di banco di un ragazzo che poi entrò nella Stidda e fu ucciso – ha raccontato Paci -. Il fratello del mio compagno di banco è stato uno dei componenti del commando che il 25 settembre del 1988 andò a sparare a Nino Saetta e al figlio. Ma giocavo anche a pallone con uno di coloro che composero il commando che andarono ad uccidere proprio Rosario Livatino. Chi mai poteva immaginare che ragazzi di 13, 14 anni potessero prendere strade così drammaticamente, terribilmente, diverse?».
E sui casi di magistrati corrotti: «Abbiamo gli anticorpi” per neutralizzarli»
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha trattato anche il tema dell’incontro: “Che fine ha fatto la magistratura?”. «Ci si può imbattere – ha detto – nel magistrato serio, scrupoloso, che oltre ad essere preparato guarda anche al caso umano e si pone l’obiettivo di tutelare quella persona, riconoscendogli i propri diritti o, se dal caso, sanzionandolo. Ma ci si può trovare di fronte a chi utilizza il proprio lavoro per fini di carriera esclusivamente personale. Chi ha cercato di utilizzare il potere che la legge e la Costituzione gli assegna per servire un potentato economico, politico o anche mafioso, anche all’interno della magistratura purtroppo c’è sempre stato. Ma abbiamo anche gli “anticorpi” per neutralizzare questo tipo di persone e situazioni».
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