CATANZARO Avvocato cassazionista, Francesco Pitaro è stato consigliere regionale nell’XI legislatura. Provenendo dall’associazionismo (è presidente del “Pungolo per Catanzaro”), è stato eletto nel 2020 con la lista “Io resto in Calabria” di Pippo Callipo che ha lasciato, subito dopo l’insediamento, per aderire, dal Gruppo misto, alla linea del Gruppo del Pd con cui ha svolto il suo mandato dai banchi dell’opposizione.
Avvocato Pitaro, come ci si sente dopo l’esclusione dalla lista del Pd nella circoscrizione centro che le ha impedito di partecipare alla campagna elettorale che si è chiusa col voto del 3-4 ottobre?
«Quello che è successo a me è grave. Sia sotto il profilo etico che politico e costituzionale. L’onorevole Enrico Letta sa bene cos’è accaduto e non dubito che della vicenda si tornerà a parlare. E’ prevalso il potere incrociato delle correnti a tutela dei propri aderenti, alcuni dei quali terrorizzati dalla novità e dalla forza di popolo che la mia candidatura avrebbe rappresentato. Il commissario del Pd, violando l’articolo 49 della Costituzione che impone ai partiti di procedere con metodo democratico, è stato l’artefice, nonostante le rassicurazioni che mi erano state date dalla segreteria nazionale del Pd, e l’esecutore di una scelta autoritaria. Una scelta, d’altronde, in linea con gli errori macroscopici e i pasticci compiuti dal Pd calabrese, a partire dall’esclusione di Nicola Irto quale candidato alla presidenza, che il 3-4 ottobre hanno provocato, in netta controtendenza con quanto avvenuto nel Paese, la sconfitta clamorosa del centrosinistra in Calabria».
Nonostante tutto però lei ha sostenuto uno dei candidati del Pd…
«E con successo! Raffaele Mammoliti ha dimostrato integrità morale e onestà intellettuale, quando altri candidati, per sfuggire al confronto con il sottoscritto, hanno tramato, d’accordo col commissario, per la mia esclusione, avvenuta nottetempo com’è nello stile di tanti predatori. Ma l’ho sostenuto anche perché gli riconosco una visione complessiva dei problemi e dei punti di forza della Calabria, nonché una conoscenza approfondita (provenendo dalla Cgil) delle questioni del lavoro e dello sviluppo».
Cosa fare adesso?
«La sconfitta del centrosinistra e la resistenza al voto dei calabresi impongono, salvo non si voglia perseverare negli errori fino a suicidare il Pd, le immediate dimissioni del commissario. E l’avvio delle procedure che dovranno ripristinare gli organi democratici del partito. Per rendere, come sostiene Letta, il Pd calabrese “progressista nei valori, riformista nei metodi e radicale nei comportamenti”, bisogna voltare pagina. E liberarlo da profittatori, avventurieri e nullafacenti. C’è una richiesta di cambiamento di cui il Pd è il naturale interprete, ma bisogna aprilo ai giovani, alle donne e alle istanze più combattive e dinamiche della società civile».
Ha qualche consiglio da dare al nuovo presidente della Regione?
«A parte gli auguri di buon lavoro, credo che l’onorevole Occhiuto, conoscendo i guasti della Regione e le difficoltà della politica calabrese, non abbia bisogno dei miei consigli».
Ma, in base al suo impegno istituzionale, cosa si sente di dire?
«Che la fragilità progettuale della politica e il peso degli apparati burocratici impediscono alla Regione di volare alto. E una Regione che non ha progetti ambiziosi è destinata spegnarsi. Cosi com’è, la Regione non è utile alla Calabria. Anzi, agevola la discrezionalità politica e amministrativa e diventa permeabile ai fenomeni corruttivi. Va riformata in profondità. Altrimenti, assisteremo ad altri fallimenti».
La sfida più importante del momento?
«Il Recovery Plan, che dovrebbe allertare le classi dirigenti meridionali, perché se a far man bassa delle risorse saranno lobby, oligarchie e gli interessi delle aree forti con il sostegno trasversale delle forze politiche calabresi e nazionali, l’Italia non farà le riforme di sistema. E resterà un Paese che, con l’enorme divario di sviluppo e di cittadinanza Nord-Sud che si trascina da 160 anni, vedrà ingigantiti i suoi problemi e in Europa rimarrà un’anatra zoppa».
Che propone di fare in concreto oltre che denunciare i rischi?
«Unire – specie in Calabria – le forze politiche e sociali e coinvolgere la società civile, perché su questo dossier, dinanzi a eventuali prepotenze nella ripartizione dei fondi, serviranno, oltre alle proteste verbali, reazioni vibrate e massicce del popolo calabrese. La frammentazione politica e le acutizzate emergenze calabresi, tra cui la criminalità, saranno l’alibi che i decisori pubblici nazionali utilizzeranno per giustificare l’uso diseguale delle risorse. La Calabria deve avere la capacità, su questa occasione della vita che l’Europa le offre prevedendo tra gli obiettivi del Recovery il superamento dei divari territoriali, di stipulare al suo interno un patto di leale collaborazione per ottenere le risorse che le spettano e finalizzarle allo sviluppo».
Ma secondo lei la Regione è in grado di fare questa battaglia e di superare i problemi che si rinvengono nella programmazione ed esecuzione delle opere?
«Il divario fra teoria e prassi in Calabria è drammatico sui temi economici, se consideriamo che ogni volta che la spesa non produce risultati genera opacità e disagio sociale. Ho proposto l’istituzione di un Osservatorio – Next Generation Ue di cui dovrebbero far parte, oltre alla politica, i soggetti dello sviluppo e le professionalità. Spero che sia istituito. Servirebbe per convogliare ogni progettualità in un disegno complessivo e ad interloquire con il Governo. E con l’Europa che, prevedendo esborsi, due volte all’anno fino al 2026 e condizionandoli al raggiungimento dei target e con una specifica tempistica, per noi è una solida garanzia».
Qual è la critica più grave che muove all’esecutivo regionale che sta per passare le mano?
«Si riscontrano più lacune, ma mi colpisce di più, perché credo sia una peculiarità del regionalismo calabrese, l’assenza di una visione della Calabria che si vuole da qui a dieci anni. Il che genera un governo delle contingenze dall’azione modesta. E spinge a scelte dal respiro corto che riducono le prerogative legislative e amministrative a un bricolage di mezzi senza fini. La Regione dovrebbe partorire elefanti per fronteggiare le sfide del momento e invece si vedono solo topolini. Con una condizione sociale che fa tremare le vene e i polsi – basta dare un’occhiata alle povertà delle aree interne per il cui rilancio occorrerebbe un Assessorato ad hoc perché lì c’è il cuore della Calabria e un vasto bacino di cultura e tradizioni da mettere a valore – il tempo del galleggiamento politico è finito. Alla Calabria servono idee forti con cui superare le tensioni sociali e dare slancio all’innovazione della nostra economia; sostenere i talenti e le nostre eccellenze; irrobustire il welfare per dare una mano alle famiglie in affanno e affermare serie politiche di genere. Se la Regione si limita a camminare pancia a terra e se non si escogita un nuovo modo di far politica che offra soluzioni concrete ai problemi e apra una prospettiva di crescita, prevedo tempi bui».
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