LAMEZIA TERME Apparentemente potrebbe sembrare un paradosso, una discrasia del sistema. Ma nella regione che vanta praticamente tutti i record negativi in materia del mercato del lavoro sono molte le aziende che non riescono a trovare personale da inserire nel proprio organico. E accade così che in Calabria, fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione ed in testa per numero di giovani in cerca di lavoro – ancor di più dopo la tempesta perfetta scatenata dall’emergenza coronavirus – ci sia una fetta importante di nuove opportunità sul mercato del lavoro che non possono essere colte per mancanza appunto della materia prima: personale capace di rispondere alla chiamata delle imprese. Si tratta per lo più di profili alti di formazione con una specializzazione elevata negli studi. Ma non solo. Si va alla ricerca anche di operai altamente qualificati e di figure tecniche che sappiano gestire determinate attività.
Sono le stesse aziende a segnalare questo vulnus che, per la verità, da tempo ormai non riesce a colmarsi. Anzi. Con l’avvento delle nuove tecnologie, la ricerca di personale sempre più specializzato, la competizione nazionale ed internazionale – in questo caso particolarmente agguerrita perché decisamente più attraente – per le imprese calabresi è divenuto un vero e proprio miraggio riuscire a reclutare quelle figure dotate di alte skills.
Tutto questo nonostante la Calabria sforni dai tre Atenei ogni anno centinaia di nuovi professionisti con quelle competenze giuste. A cui si sommano quelle altre migliaia di giovani calabresi che si sono formati fuori dalla regione e che, spesso, scelgono di svolgere poi la propria professione lontano dai territori dove sono nati. Ed i paradossi, di un meccanismo che sembra non entrare mai a regime per quanto attiene la domanda ed offerta di lavoro in Calabria, non si fermano qui.
Perché se è vero che la ricerca di personale è decisamente elevata non aggancia quelle figure che viceversa si trovano nella regione e che qui cercano lavoro. L’ultimo dato che conferma quest’ennesima contraddittoria tendenza è l’indice che registra l’incapacità dei laureati calabresi di trovare, in un ragionevole tempo, occupazione sul territorio. Anche su questo fronte la Calabria detiene l’ennesimo record: è una delle regioni in Europa con la maggiore incapacità di occupare i suoi studenti entro i tre anni dal conseguimento della laurea.
Passando in rassegna i dati sul mercato del lavoro, in Calabria emerge che oltre due calabresi su dieci sono senza lavoro, cioè oltre il doppio della media nazionale che si attesa al 9,2%. Un dato quello calabrese che pone la regione all’ottavo posto per peggiore livello di disoccupazione tra i territori del Vecchio Continente. Ed ancora più drammatica è la situazione che interessa il mondo giovanile che segnala la mancanza di lavoro per circa la metà dei calabresi nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni: 49,2%. Una percentuale quest’ultima che nel 2020 – anno della crisi acuta pandemica – è anche cresciuta rispetto al 2019 quando l’indice era al 48,6%.
Numeri preoccupanti se rapportati a quanto mediamente accade nel resto del Paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato nel 2020 al 29,4% praticamente in linea con il dato dell’anno precedente (29,2%). A dimostrazione che la crisi economica conseguenza dell’emergenza sanitaria pandemica ha colpito maggiormente in Calabria le giovani generazioni.
Così come la flessione di occupati nella regione, che si è registrata in un anno, è stata più del doppio superiore in confronto alla diminuzione di posti di lavoro in Italia. Al 4,3% in meno di occupati segnalati tra il 2019-2020 fa da contraltare il 2% della media nazionale.
Di rilievo anche un dato che dimostra la debolezza del sistema imprenditoriale calabrese a riuscire ad occupare anche persone con livelli d’istruzione elevate.
Infatti dai dati Eurostat emerge che la Calabria, seguita a stretto raggio dalla Sicilia, è l’ultima regione in Europa per capacità di offrire lavoro ai giovani laureati a tre anni dal conseguimento del titolo. In particolare se in media nell’Unione europea oltre 8 laureati su 10 (esattamente 81,5%) trovano un lavoro a tre anni dal raggiungimento della laurea, in Calabria quel tasso scende al 37,2%. In Italia, la percentuale di giovani laureati assunti in quell’arco di tempo sfiora il 60%. Decisamente lontana da regioni europee come Schwaben, in Germania, che svetta con il 97,6%.
Ma se i dati sui livelli di disoccupazione sono decisamente elevati in Calabria, c’è da segnalare anche che la richiesta di personale dopo la crisi pandemica non si è arrestata. Anzi c’è da notare che alcuni profili ricercati dalle imprese stentano ad essere individuati.
Secondo le rilevazioni condotte da Unioncamere-Anpal tramite il Progetto Excelsior, nel mese di ottobre sarebbero 9.060 le assunzioni programmate dalle imprese calabresi ma ben il 27,9% le giudicano di difficile reperimento. E nel trimestre in corso le previsioni segnalano complessivamente 23.900 nuovi ingressi programmati nelle aziende della regione. In crescita sia rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (+10.880) sia in confronto al 2019 (+6.010). Si tratta per lo più di domanda di lavoro a tempo determinato o a termine (71%), di cui appunto quasi un terzo, secondo gli imprenditori, cadrà nel vuoto proprio per la difficoltà di rintracciare quei profili richiesti.
Nel periodo settembre – novembre, secondo i dati del Progetto Excelsior, emerge che di più difficile reperimento sono le professioni che si collocano nelle aree tecniche e della progettazione. Stando alle indicazioni degli imprenditori ben il 42,6% delle richieste di lavoro in questo segmento produttivo non troverà una corrispondente offerta in Calabria.
Seguono le professioni nel campo della logistica con il 34,8% delle opportunità di occupazione, ritenute di difficile reperimento. Difficoltà registrano gli imprenditori a individuare figure da inserire nelle aree direttive e dei servizi generali (32,5%), così come nelle aree commerciali e della vendita (28,6%). Poi ci sono le professioni specializzate nella produzione di beni e nell’erogazione di servizi, irrintracciabili per 28,1% e nell’area amministrativa (21,9%). Mediamente ad esempio nel mese di settembre scorso, le imprese hanno dichiarato di non essere riusciti a reperire ben il 30,7% del totale delle assunzioni che avevano previsto in quel mese. E quelle offerte di lavoro interessavamo per una quota pari al 27% giovani con meno di 30 anni.
I profili più richiesti riguardano operai altamente specializzati e conduttori di impianti (30%), professionisti commerciali e dei servizi (27%), come anche dirigenti, specialisti e tecnici. Seguendo lo schema adottato nel focus di ricerca, il profilo che maggiormente non si riesce a reperire è quello attinente – sotto le varie aree aziendali – la progettazione, la ricerca e lo sviluppo, ma anche personale in grado di gestire sistemi informativi. Dunque personale decisamente fondamentale a portare avanti quella che si definisce l’economia 4.0 e che in Calabria, a giudicare dalle indicazioni degli stessi imprenditori, è merce rara da trovare. A questo proposito, da un’analisi dettagliata le professioni maggiormente richieste ai giovani dalle impreseche restanoinevase, sono quellein scienze informatiche, fisiche e chimiche: non rispondonoall’appello il 75%. Così come restano senza giovani candidati oltre il 50% delle professioni richieste dalle imprese, di operai specializzati nelle industrie del legno e della carta, operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche, tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione e operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli edifici. Un mondo di occasioni che non riescono però ad essere colte per mancanza di personale.
“Nanismo” delle dimensioni medie aziendali e scarsa attrattività per i giovani professionisti con alto profilo di rimanere in Calabria. Criticità che sono alla base delle difficoltà delle aziende di rintracciare personale qualificato. Ne è convinto Alfredo Fortunato, presidente della sezione Terziario Innovativo e ICT di Unindustria Calabria e amministratore di Contesti srl. Un osservatorio privilegiato visto che il settore di cui si occupa Fortunato è quello che raccoglie le imprese con maggiori standard per livello di innovazione, ricerca e proiezione nell’economia 4.0 e dunque conosce nel dettaglio le esigenze delle aziende maggiormente lanciate verso il futuro.
I dati dell’Eurostat indicano che la Calabria è ultima in Europa per capacità di assorbire i propri laureati ed inserirli nel mondo del lavoro. A cosa addebita questa criticità?
«Ci sono due fattori che limitano la capacità del sistema regionale di assorbire i propri laureati. Il primo è determinato dalla gracilità della struttura produttiva dove prevale il “nanismo” dimensionale, la semplicità degli assetti organizzativi, il basso livello di innovatività e di apertura internazionale. Queste aziende, solitamente, non richiedono risorse umane qualificate e con competenze tecniche elevate. Si tratta per lo più di aziende che operano nei settori più tradizionali e meno esposti alla concorrenza. L’altro elemento è dovuto alla bassa attrattività complessiva della regione. Se l’Italia non è paese per giovani, ancora di più la Calabria non rappresenta per molti giovani il luogo “ideale” in cui costruire un futuro professionale e di vita. I livelli di infrastrutturazione sociale inadeguati, la modesta qualità di alcuni servizi essenziali, la struttura del mercato del lavoro con limitate prospettive e remunerazioni inadeguate, determinano livelli di qualità della vita inaccettabili, soprattutto per chi ha la possibilità di scegliere un altro posto in cui lavorare e vivere».
Eppure dalle rilevazioni tra imprese, emerge che c’è una difficoltà elevata da parte delle aziende di riuscire a trovare personale. Sembra una contraddizione.
«Una prima questione potrebbe essere legata al livello di skills del personale richiesto. Le aziende oggi tendono a formare in casa la propria forza lavoro e mostrano difficoltà a reperire risorse con determinati livelli di expertise e seniority. Da questo punto di vista, ci si scontra con un basso grado di turnover di queste professionalità aggravato anche dalla scarsa attrattività di cui abbiamo detto prima. C’è poi una questione di mismatch tra i profili formati dalle università e quelli richiesti dalle aziende. In alcuni settori, penso a quello del terziario innovativo, le difficoltà sono invece legate alla scarsa disponibilità di laureati in materie tecnico-scientifiche che vengono spesso attratti dai grandi player dell’ICT che garantiscono percorsi di crescita professionali più strutturati e solidi rispetto alle imprese locali».
Dal suo osservatorio quali sono i profili maggiormente ricercati dalle aziende e che non si riescono ad intercettare in Calabria?
«Il mio punto di osservazione è principalmente focalizzato sulle aziende del terziario innovativo che operano nel digitale e si caratterizzano per una maggiore propensione all’investimento in ricerca e sviluppo e per strutture organizzative molto più articolate rispetto alla media regionale. Queste aziende richiedono soprattutto profili con competenze in gestione e analisi dei dati, sviluppo software, cybersicurezza, digital marketing, web designer per citare quelli più gettonati. Le aziende locali hanno maggiori difficoltà ad individuare questi profili perché hanno rapporti poco strutturati con le Università, perché tante imprese esterne di più grandi dimensioni assorbono la maggior parte dei profili tecnici che escono dalle nostre università, perché i neolaureati preferiscono effettuare tirocini formativi in aziende con organizzazioni complesse che offrono programmi di inserimento lavorativo meglio strutturati, più stimolanti e con maggiori prospettive di assunzione».
E poi c’è da registrare un’enorme fuga di cervelli dalla nostra regione. Secondo lei come si potrebbe riuscire a trattenere i giovani laureati in Calabria o farli ritornare?
«Come si diceva prima, esiste un problema di attrattività. Dobbiamo rendere il territorio e le aziende calabresi attrattive per i giovani. Rispetto al territorio, significa lavorare su quelle condizioni di base che oggi determinano un vero e proprio divario civile con le regioni più avanzate del Paese. Tali azioni potrebbero intercettare ed incrementare il desiderio di “rientro” o di “doppia presenza” di molti smart workers localizzati nel Centro-Nord Italia o all’estero. D’altro canto, le imprese devono certamente alzare l’asticella, qualificarsi ulteriormente come sistema, mediante la relazione con partner strutturati e con il mondo della ricerca. E’ necessario instaurare connessioni con le catene globali del valore».
Ritiene che ci siano solo responsabilità politiche in materia di mercato del lavoro o c’è da fare anche autocritica tra le imprese?
«No, non è solamente un problema di politiche del lavoro. Certo, intervenire ulteriormente sulla riduzione del costo del lavoro così come prevedere azioni a sostegno dell’occupazione aiuterebbe, ma si tratta anche di rafforzare e qualificare il sistema imprenditoriale nel suo complesso. Politiche “intelligenti” dovrebbero puntare ad una serie di iniziative come sostenere i processi di digitalizzazione e innovazione delle imprese e dei sistemi di imprese, favorire l’attrazione di imprese esterne disposte a fertilizzare il territorio, supportare i processi di transizione verso il modello della circular economy, garantire il rafforzamento della struttura manageriale, finanziaria e patrimoniale. L’aumento del numero di imprese sane, innovative e aperte favorirebbe certamente la probabilità di richiesta di personale con qualifiche tecniche elevate. La larga maggioranza delle aziende vede nella difesa della propria posizione competitiva uno dei principali obiettivi strategici, ma tutte lamentano l’assenza di politiche strutturate a supporto degli investimenti».
Parlava prima dell’utilità dei rapporti tra mondo delle imprese e università calabresi. Cosa si sta facendo per rafforzare questa connessione?
«Proprio in queste settimane è stato presentato il lavoro svolto negli ultimi mesi dal Digital Innovation Hub (DIH) promosso da Unindustria per sostenere i processi di transizione digitale delle imprese calabresi. Il DIH può diventare lo strumento per un rafforzamento del dialogo tra università e imprese come investimento strategico che favorisce lo scambio e la condivisione delle conoscenze, perché può aiutare i laureati ad acquisire le competenze e le conoscenze adeguate richieste sul mercato del lavoro, nonché favorire il loro sviluppo personale. Le imprese sono molto motivate perché sono consapevoli che un rapporto costante con l’Università sia indispensabile per accedere al potenziale di talenti e sostenere i loro processi di innovazione».
Si è appena votato per le Regionali e a breve la Calabria avrà un nuovo governo. Quali sono le vostre richieste in materia di crescita dell’occupazione?
«Si sta aprendo una stagione importante di investimenti pubblici grazie al combinato disposto del Pnrr e della nuova programmazione comunitaria 2021-2027. Ci sono concrete possibilità per cambiare permanentemente le condizioni di contesto e per individuare una specializzazione davvero intelligente per la nostra regione. È un’opportunità che non va assolutamente sprecata. Le politiche devono riflettere chiare scelte strategiche, prese a valle di un processo di co-progettazione con gli attori del territorio. Non è più tempo di offrire contentini per tutti. Dal nostro punto di vista, in uno scenario complesso e articolato come quello attuale – il tasso di occupazione giovanile 25-34 anni è intorno al 40%, un dato senza paragoni in Europa – è indispensabile lavorare su un primo pacchetto di interventi capaci di aumentare le opportunità occupazionali, ridurre il tasso e i tempi di permanenza nella disoccupazione, favorire l’occupazione giovanile e femminile. Il miglioramento dell’accesso al mercato del lavoro dei giovani deve essere perseguito con una pluralità di interventi, sia sul versante delle politiche attive che su quello dell’istruzione e della formazione. Specifiche azioni devono essere destinate al raggiungimento dei Neet più distanti dal mercato del lavoro, così come deve essere intensificata la promozione di lavoro autonomo e dell’autoimpiego, con strumenti per l’avvio di impresa, attività di accompagnamento e misure di supporto finanziario. Più in generale chiediamo al governo regionale un cambiamento di prospettiva radicale che veda nel sistema delle imprese un vero pilastro su cui costruire lo sviluppo locale. Solo dove ci sono tante imprese competitive ci può essere un territorio coeso, capace di fornire servizi di qualità ai suoi cittadini e di attrarre intelligenze, capitali ed energie dall’esterno. Lo sviluppo locale è un cammino tremendamente difficile. Ma non impossibile. Ha bisogno di pazienza, di talenti, di imprese. Ha bisogno di molta passione e perseveranza, da parte di tanti e non solo della politica». (r.desanto@corrierecal.it)
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