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‘ndrangheta in toscana

L’infedele del ministero e i passaporti falsificati per “coprire” due latitanti di ‘ndrangheta

Per la Dda di Firenze, i documenti “lavorati” servivano a Catalano e Palamara per continuare a gestire le attività di importazione di droga dal Sudamerica

Pubblicato il: 17/11/2021 – 13:03
di Giorgio Curcio
L’infedele del ministero e i passaporti falsificati per “coprire” due latitanti di ‘ndrangheta

LAMEZIA TERME Passaporti falsi per coprire anche la latitanza di persone appartenenti al gruppo criminale. È uno degli elementi più rilevanti emersi dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Firenze e che ieri ha portato al fermo di 13 persone, su richiesta del gip Giampaolo Boninsegna, nell’ambito dell’inchiesta che ha visto il coinvolgimento delle Procure di Reggio Calabria e Milano contro il narcotraffico, assestando un duro colpo al clan di ‘ndrangheta riferibile ai Molè di Gioia Tauro, ma non solo.

L’infedele in Commissariato

Secondo le indagini, infatti, il gruppo guidato da Emanuele Fonti, finito in carcere, considerato il “trait d’union” tra le varie organizzazioni criminali coinvolte  committenti (quella di Guardavalle, i Pesce-Bellocco-Molé operante nella piana di Gioia Tauro) era anche in grado di ottenere passaporti falsi o comunque contraffatti, dietro pagamento in denaro, sfruttando un dipendente della Questura di Milano e in servizio nel Commissariato di Legnano «conosciuto grazie ad un amico Calabrese mezzo latitante», come racconta Fonti. Si tratta Nicodemo Francesco Callà, classe ’54 e originario di Mileto, anche lui fra gli arrestati. Da quanto sarebbe emerso dall’inchiesta, infatti, sarebbe lui il «dipendente amministrativo del ministero dell’Interno» incaricato dal gruppo per ottenere la falsificazione dei passaporti, dietro compenso. 

10mila euro per il passaporto

Come quello ottenuto dallo stesso Fonti che – come racconta – lo avrebbe ottenuto dietro al pagamento di 10mila euro, anche perché, spiega lui stesso nella conversazione intercettata, per muoversi all’estero non si potevano utilizzare passaporti originali nella struttura ma falsificati nelle generalità in quanto ai controlli di Polizia questi sarebbero stati immediatamente individuati, a causa dei chip che li corredano. Così come era già successo in Olanda quando fu fermato al controllo aeroportuale, a seguito del quale venne accertata la falsificazione del documento esibito. «Adesso gli sto facendo fare un altro per un’altra persona, che poi quest’altro cretino qua, pensa che le persone sono sceme mi ha mandato via WhatsApp gli ho fatto mandare, ha fatto la foto alla carta d’identità». Uno stralcio di una conversazione intercettata che restituisce chiaramente la rilevanza della figura di Callà all’interno del gruppo criminale. Sarebbe stato lui, infatti, a “lavorare” altri passaporti per altri latitanti delle ‘ndrine calabresi, fondamentali per i viaggi all’estero. Sono almeno tre quelli individuati dagli inquirenti e recanti nominativi che, di fatto, nascondevano la vera identità dei latitanti. 

Passaporti falsi per veri latitanti

Come quelli riconducibili a “Marco Luigi Zaninello” e “Giacomo Pugliese”: per gli inquirenti sono nomi utilizzati in realtà per coprire la latitanza di Mario Palamara, tuttora irreperibile, ritenuto dagli inquirenti il committente per l’importazione di quantitativi ingenti di droga attraverso i contatti in Sudamerica. Come quelli documentati dagli inquirenti in occasione dell’importazione di oltre 400 kg cocaina nel porto di Livorno. C’è poi il passaporto di “Carmelo Maesano”, invece, era a tutti gli effetti il passaporto utilizzato da un altro latitante, Antonio Catalano, anche per l’espatrio in Colombia risalente al 16 gennaio del 2019. Catalano, insieme a Palamara, è coinvolto nell’inchiesta “Picciotteria bis” e condannato a 12 anni di carcere. Passaporti “veri” ma falsificati, documenti fondamentali per i latitanti per continuare a muoversi in totale libertà, garantendo così il massimo apporto possibili per i disegni criminali del gruppo. (redazione@corrierecal.it)

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