CATANZARO Sono stati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Catanzaro l’ex consigliere regionale di Forza Italia Claudio Parente e i due consiglieri comunali di maggioranza del Comune di Catanzaro Giuseppe Pisano e Francesco Gironda, eletti entrambi nella lista “Officina del Sud”, movimento politico fondato da Parente. Sono accusati, a vario titolo, di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e peculato. La Procura di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio a valle della conclusione delle indagini per l’inchiesta “Corvo”, condotta dalla Guardia di Finanza.
L’indagine ruota attorno alla convenzione firmata tra l’amministrazione comunale e la società “Vivere Insieme”, fondata da Parente. Secondo l’accusa il politico, formalmente dimessosi dalle cariche societarie, avrebbe mantenuto la gestione e il controllo di “Vivere Insieme”. Di più: per l’ipotesi accusatoria Parente, all’epoca consigliere regionale, avrebbe assunto nella struttura consiliare di Forza Italia due persone vicine ai consiglieri comunali in cambio del sostegno all’approvazione della delibera a favore di “Vivere Insieme”. Il processo inizierà il 13 dicembre 2022. Nel collegio difensivo gli avvocati Saverio Loiero, Francesco Gambardella, Valerio Murgano e Giacomo Maletta
Il procedimento aveva visto, nei mesi scorsi, un passaggio davanti alla Sesta Sezione Penale della Cassazione che aveva disposto l’annullamento senza rinvio dell’Ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva confermato nei confronti di Parente il sequestro della somma di 37.000 euro, cioè l’equivalente di quanto percepito da due componenti assunti nella struttura consiliare. Nel ricorso avverso il reato di peculato, contestato all’ex consigliere regionale, gli avvocati Francesco Gambardella e Giacomo Maletta hanno dimostrato che le prestazioni lavorative delle due persone, collegate ai consiglieri comunali che avevano votato la delibera, erano state regolarmente assolte; che le stesse avevano i titoli (laurea in giurisprudenza e in scienze politiche) per essere proposte agli Uffici del Consiglio regionale che ha provveduto a stipulare i relativi contratti e che quindi non c’è stata alcuna offensività della condotta e nessuna alterazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione. «Pertanto – spiegarono all’epoca i legali – nessuna appropriazione di denaro pubblico o di destinazione dello stesso per finalità privatistiche per potersi intravedere anche lontanamente il reato di peculato. Ed ancora, la delibera del Consiglio comunale, approvata all’unanimità dei presenti, e quindi non determinanti il voto dei due consiglieri comunali, non aveva concesso alcun utilità all’Associazione, trattandosi di un atto di indirizzo da sottoporre a nuove valutazioni dagli uffici prima di ritornare nel civico consesso». (redazione@corrierecal.it)
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