LAMEZIA TERME «C’era un’estorsione che la ditta pagava, noi prendevamo i soldi, una somma annuale, che poi giravamo a Nino Accorinti. Pagavano dal Club Med, dalla gestione, sia le ditte interne, e anche gli Stillitani pagavano». A parlare è il collaboratore di giustizia Giuseppe Comito, ascoltato oggi in aula bunker nel corso dell’udienza del processo “Imponimento” contro le cosche di ‘ndrangheta Anello-Fruci.
Incalzato dalle domande del pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, Comito ha riferito in particolare di diversi episodi che riguardano alcune delle strutture turistiche presenti sulla costa tirrenica, tra Acconia e Pizzo. E dal suo racconto emerge, in particolare, la figura di Nino Accorinti. Lui, infatti, aveva il compito di «assumere il personale, quello della guardiania, attraverso Saverio Prostamo. I delinquenti scapestrati – racconta Comito – tornavano indietro, mentre la nostra provenienza geografica ci consentiva di essere assunti. Da Lamezia c’era un Giampà, legato ovviamente al clan». «La proprietà sapeva che dietro di noi c’era una figura estranea che vigilava su di loro, sulla sicurezza. Una figura occulta, ma Nino Accorinti lo conoscevano tutti, anche i francesi. Quando altre persone estranee al nostro gruppo cercavano di intromettersi nel villaggio le prendevamo a mazzate, ma tutti sapevano che eravamo pericolosi, che con noi non si doveva scherzare».
Il controllo del villaggio da parte di Nino Accorinti si declinava anche attraverso altri aspetti. Secondo Comito, infatti, «non pagava mai, non pagava nulla all’interno della struttura. Beveva champagne, faceva feste e le organizzava anche per occasioni importanti, come le discoteche sulle barche di fronte al villaggio su richiesta proprio della dirigenza». Quella di Nino Accorinti era dunque una figura importantissima, dominante e non si intrometteva neanche la proprietà. «Il suo potere era tale che era impossibile non vedere che comandasse lui all’interno del villaggio».
Oltre al controllo “fisico” del villaggio turistico a Pizzo, c’era anche quello legato alle estorsioni “mascherate” attraverso false fatturazioni. «Erano fatture ognuna da 15mila euro più Iva. Quella che emettevo io, ad esempio, riguardava lavori di manutenzione in realtà mai eseguiti». «Le false fatture – spiega poi Comito – erano emesse anche da una ditta di lavanderia di Porto Salvo, ma anche Bilotta e un certo Pungitore. Erano tutte fatture identiche ed emesse ogni anno per alcuni anni, fino al 2010 circa. Il denaro andava diviso tra Nino Accorinti e Pantaleone Mancuso. Noi lo portavamo a Saverio Prostamo. Poi c’erano altre estorsioni come Bilotta, quelli che organizzavano i viaggi con i pullman o Curtosi, la ditta di infissi, che portava i soldi direttamente a Prostamo; poi il falegname faceva i lavori ad Accorinti, le ditte che portavano i prodotti alle piscine che pagano per il cloro e davano i soldi ad Antonio Accorinti, il figlio di Nino, e davano il cloro al Green Garden, oppure rubavano i bidoni. C’era anche la ditta di Gioia Tauro che pagava direttamente a Pantaleone Mancuso per quanto riguardava le pulizie. Poi c’era Franco Di Leo che aveva la gestione della pulizia della spiaggia che pagava o sotto forma di imbarcazioni (aveva un cantiere vicino all’uscita di Pizzo); per la frutta c’era Polito, per il pane invece c’era una ditta di San Gregorio d’Ippona che dava i soldi a Pantaleone Mancuso». (redazione@corrierecal.it)
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