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l’udienza

Imponimento, l’imprenditore «spolpato dai Mancuso» e il latitante nel resort. «Mi dissero che era Rocco Morabito»

Controesame per il pentito Michienzi. «Il Club Med di Pizzo in mano al clan di Limbadi. Le assunzioni imposte a Facciolo»

Pubblicato il: 24/03/2022 – 15:25
di Giorgio Curcio
Imponimento, l’imprenditore «spolpato dai Mancuso» e il latitante nel resort. «Mi dissero che era Rocco Morabito»

LAMEZIA TERME Nuova udienza del processo “Imponimento” all’aula bunker di Lamezia Terme, con il controesame del collaboratore di giustizia, Francesco Michienzi, da parte dell’avvocato Giovanni Vecchio. Confronto incentrato, in particolare, sulla figura di Antonio Facciolo, docente di Filosofia, coinvolto nell’inchiesta perché ritenuto vicino al clan Anello di Filadelfia, nonché gestore del 2016 al 2018 del noto Lido degli Aranci. «L’ho conosciuto perché mi è stato presentato nel 2005 da Francesco Fortuna, d’estate. Poi lo vedevo tutti i giorni durante la mia permanenza nel villaggio turistico, tutti i giorni chiacchieravamo». L’avvocato Vecchio contesta il mancato riconoscimento della foto in sede di interrogatorio ma Michienzi spiega: «Non l’ho riconosciuto immediatamente ma solo perché la foto era o troppo vecchia o troppo recente rispetto a quando lo vedevo io».

«Facciolo era spolpato dai Mancuso»

«Facciolo – spiega poi Michienzi – era una vittima di estorsioni. Di lui ne avevamo parlato con Domenico Bonavota, era il 2004 e facevamo i famosi “pranzi”». «In quell’epoca il Club Med era già costruito, con Bonavota ne parlavamo perché era libero, a Sant’Onofrio. Sapevo che Facciolo aveva l’impresa di pulizie del Club Med e che i Mancuso però so che lo spolpavano». E sui rapporti tra Facciolo e i fratelli Stillitani, su impulso dell’avvocato Vecchio, Michienzi spiega: «Facevano insieme camminate lunghissime all’interno del villaggio ma non so di altre questioni o se avessero società insieme». «So che Facciolo gestiva la lavanderia industriale, le pulizie ma non so se gli Stillitani avessero quote nelle società di Facciolo. Il Club Med di Pizzo era gestito dai Mancuso ma l’ambizione di Rocco Anello era allontanarli».

La guardiania

L’avvocato Vecchio continua il suo controesame ponendo a Michienzi un’altra questione, quella legata al servizio di guardiania. «Al Club Med non so da quanto tempo, al Garden invece sono stato il primo assunto a marzo 2005. In quell’anno erano i fratelli Zanone a gestirlo». «Al Garden Facciolo – spiega Michienzi – entra tramite Tonino Davoli e Francesco Fortuna». L’avvocato però contesta il «non lo so» in uno degli interrogatori di Michienzi, che spiega: «è solo una questione di memoria ma nei 180 giorni ho dichiarato che Facciolo era stato imposto a Stillitani da Fortuna e Davoli». Dichiarazione però contestata con fermezza dall’avvocato Vecchio, con il pm che ha comunque deciso di proseguire con l’udienza.

Il latitante nel resort

Il controesame dell’avvocato Vecchio prosegue, poi, con la vicenda del latitante di ‘ndrangheta ospitato all’interno del Garden Resort, storia curiosa perché legata ad un dubbio sulla reale identità, salvo poi scoprire che si trattava di Peppe De Stefano. «A me – ha risposto Michienzi – hanno detto che fosse Rocco Morabito, me lo ha riferito Francesco Fortuna, forse ne abbiamo parlato anche con Vincenzino Fruci». Ma perché non dissero la verità? chiede Vecchio: «A noi bastava il fatto che ci avevano affidato un latitante. Non so perché ci dissero un nome sbagliato, forse per paura di essere intercettati, ma non posso sapere il motivo». «Il latitante – chiarisce ancora Michienzi – mi si presentò come Rocco, era uno che aveva la responsabilità di mezza provincia». L’avvocato poi ricorda l’interrogatorio reso alla Manzini nel gennaio del 2007. «Lei disse che il latitante si presentò come Morabito» ma Michienzi spiega: «Ricordo che è arrivato con una Seat grigia guidata da Francesco Fortuna, c’era una ragazza con loro». «Evidentemente non si fidavano – rimarca Michienzi – ma non posso saperlo con certezza ma Fortuna comunque l’aveva affidato a me. Potevano farlo entrare dalla spiaggia ma con la macchina bisognava per forza farlo passare dalla guardiola ma quando passava Francesco Fortuna la sbarra all’ingresso l’alzavano subito, senza chiedere ovviamente il documento». Il collaboratore Michienzi ricorda poi delle difficoltà per sistemare il latitante all’interno del resort. «Avevo chiesto a Tina, una ragazza di San Pietro a Maida, le chiavi di una camera ma lei rifiutò categoricamente. Fortuna poi mi disse di riferirlo a Facciolo perché lui sapeva tutto». «Ricordo poi che, come cognome, usarono Ferrari e chiese a Tina di segnare qualunque nome basta che gli desse le chiavi. Facciolo era comunque costretto, per questo il giorno dopo ebbe uno sfogo quasi disperato».

Le assunzioni e il trattore

«Le assunzioni erano imposte a Facciolo. I candidati imposti lasciavano una sorta di segno sulla richiesta che presentavano alla Marinella, erano loro ad avere la priorità rispetto a tutti gli altri». «Gli erano imposte anche le assunzioni di due signore i cui mariti erano detenuti, venivano con una Lancia Delta grigia». Quando Facciolo le assumeva, era un favore fatto a chi? «Ai Bonavota, aveva anche assunto Silvana Mazza». Era Francesco Fortuna a prendere i soldi da Facciolo «a noi i soldi li portava lui, era il collettore delle mazzette di Facciolo pagate al gruppo dei Bonavota e il nostro». Per quanto riguarda, infine, il trattore utilizzato per l’intimidazione al lido Michienzi spiega che si trattava di un trattore giallo «non ricordo però la marca, ricordo che aveva un cesto per trasportare le lenzuola da una parte all’altra. Ho garantito che usavo le chiavi per accendere il quadro, le luci, ma avevo promesso che avrei buttato le chiavi in caso fossi stato fermato per non mettere nei guai il proprietario». «Vincenzino Fruci mi diede le chiavi con 15 litri di benzina e mi disse “vai, prendi il trattore di Facciolo per compiere un atto intimidatorio al lido di notte”. Facciolo ha saputo che ero stato io, ma non so se sapesse da prima che lo avrei utilizzato per l’intimidazione». (redazione@corrierecal.it)

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