ROMA Un affare importante per il quale però era necessario quanto meno informare gli altri clan di ‘ndrangheta che, con tale operazione, sarebbe entrato nella gestione di alcune attività commerciali nel centro storico di Roma. E quindi avrebbe avuto bisogno dell’autorizzazione dei vertici dell’ndrangheta e tra queste anche il Locale di ‘ndrangheta di Roma, gestita da Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro. È uno dei tanti capitoli dell’inchiesta “Propaggine” coordinata dalla Procura di Roma, ricostruiti dalla Dia, e riportati nell’ordinanza firmata dal gip Gaspare Sturzo.
Ad essere coinvolto in prima linea è Giuseppe “Pino” Penna, finito in carcere, originario di Sinopoli e che da diversi anni è residente nel Lazio, a San Cesareo, titolare di un’officina da cui dirige traffici leciti e illeciti. Per gli inquirenti Penna è da tempo gravitante negli ambienti ‘ndranghetistici, imparentato tramite la madre, Grazia Alvaro, vittima di lupara bianca nel 1990, con il ramo dei “Pallunari” degli Alvaro. Per gli inquirenti, dunque, Pino Penna non è semplicemente contiguo, ma organico da molti anni all’associazione, un autentico punto di riferimento su Roma per una serie di ‘ndranghetisti residenti a Sinopoli, tra cui Domenico Alvaro noto come “Micu U Merru” (cl. ’76). Ed è proprio lui che Penna coinvolge per cercare di acquisire informazioni su un soggetto originario di Vibo Valentia per la possibilità di acquisire dei bar nel centro di Roma.
Penna, come ricostruito dagli inquirenti, voleva capire se ci fosse qualche famiglia mafiosa calabrese dietro questa persona originaria di Vibo, e poi aveva paura a muoversi su Roma senza prima avere le giuste coperture e senza aver saputo, tramite una ‘mbasciata se con questa persona si poteva trattare e si potevano far girare somme di denaro, anche ingenti, vista la portata dell’affare. «(…) quella cazzo di ‘mbasciata che ti dissi…te la sei dimenticata?» chiede Penna ad Alvaro che gli risponde: «Non l’ho dimenticata, l’ho visto a Vibo e dovevamo andare da quello là…non c’era e mi ha detto che quand’è mi chiama lui». «Forse tu hai capito male, perché lui è qua…lui si chiama Marcieri di cognome, ti ricordi? A me interessa sapere che cristiano è». «(…) ho sentito le voci, così e così, sapete tutti mi parlano bene, con grande rispetto… si chiama Francesco, Ciccio…ha tre bar, sti tre bar ora glieli liberano a giorni, forse una mesata, li ha tutti liberi».
È ancora Penna a spiegare ad Alvaro che il soggetto di cui voleva acquisire informazioni era il proprietario di tre bar nel centro di Roma. Locali che anni prima gli erano stati sequestrati e, dopo essere stato assolto, aveva pensato di rivolgersi a lui perché aveva saputo che era introdotto nel settore. «Ti spiego perché, perché questo qua ha tre bar a Roma, tre, tre bar a Roma e sono tutti e tre nel centro storico di Roma, ogni bar di quelli è Barberini». «(…) io non sono uno scemo, al centro storico di Roma, i bar più prestigiosi del mondo. A voglia a dire che tieni per le mani bar California e Cafè de Paris, a questi che ha questo gli fanno una pippa… ci siamo salvati tutti i parenti e tutti gli amici!». Penna, dunque, vedeva prefigurarsi all’orizzonte un ottimo affare per tutti, anche solo rilevarne uno. «Se ne vende uno, basta che si vende solo la licenza, al centro storico che una… quest’altri cadono tutti…gli amici nostri, scusate la parola, gli brucia a tutti (…)».
Le intenzioni di mostre il proprio “potere” sul territorio romano, ma anche la volontà (e la necessità) di mantenere gli equilibri all’interno della criminalità organizzata operante a Roma. «(…) non è che io devo comandare qua a Roma…a Roma io lo so, questi della Magliana sono tutti amici nostri, tutti questi dei Castelli sono…questi dentro Roma, tutto l’EUR che sta tutto con noi…mano mozza…li conosciamo tutti…a Torvajanica…al Circeo…sono amico di tutti e mi rispetto con tutti». «(…) vedi un po’ chi cazzo è, se mi devo sbilanciare…se la situazione è sicura». È ancora Penna a chiedere a Domenico Alvaro eventuali rassicurazioni su un possibile affare, anche perché da un lato era importante ricevere le dovute rassicurazioni da Vibo Valentia, dall’altro però, c’era anche la necessità di non perdere la credibilità, l’amicizia e il rispetto di cui proprio Penna godeva “in certi ambienti”.
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