COSENZA La penetrazione nel mondo dell’imprenditoria, l’usura, il coinvolgimento di professionisti e di figure politiche. Ma soprattutto gli affari – proficui – legati al traffico di sostanze stupefacenti, a tutti i livelli: dall’approvvigionamento esclusivo degli ingenti quantitativi di droga fino allo spaccio diffuso su tutto il territorio. Una rete, vasta e complessa, quella individuata nel Cosentino dagli inquirenti, finita al centro dell’inchiesta “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri.
Quella avvalorata dal gip Ferraro è, di fatto, una puntuale ricostruzione riportata nella lunghissima ordinanza, e che ha preso spunto prima dalle dichiarazioni rese dai tanti collaboratori di giustizia, poi dalle attività investigative svolte sul territorio Cosentino dagli inquirenti. Riflettori accesi su quello che gli inquirenti non esitano a definire un vero “sistema” all’interno del quale «confluivano tutte le specifiche ed autonome cellule associative» ciascuna delle quali risultava «strutturata, autosufficiente e dinamica». Un “sistema” ben studiato e collaudato, strutturato da capi e gregari attraverso un meccanismo di regole rigide e definite che riguardavano tutti coloro che «operavano nel settore criminale degli stupefacenti» dall’ultimo pusher al maggiorente del gruppo di spaccio e ai quali era consentivo muoversi e operare «soltanto all’interno di specifici gruppi “legittimati” che dovevano far confluire i proventi dell’attività nella “bacinella comune”» alimentando un ciclo economico criminale continuo e del tutto autosufficiente.
Un impianto di regole rigide, dunque, e che puniva duramente chi cercava di sgarrare: i gruppi autorizzati – come riportato nell’ordinanza firmata dal gip – non potevano operare sottobanco con soggetti o altri gruppi non riconosciuti. In caso contrario il “sistema” avrebbe punito i trasgressori, attraverso violenti pestaggi e il pagamento di somme di denaro ingenti che confluivano, poi, nella bacinella comune. L’attività di indagine ha consentito poi di risalire a quella che si può definire una “regia” unitaria che si avvaleva delle articolazioni ‘ndranghetistiche autonome: il gruppo Banana, il gruppo Di Puppo – D‘Alessandro, Ariello, Porcaro. E poi il gruppo Piromallo, quello di Gennarino Presta, il gruppo dei “Banana” e il gruppo Chirillo. Ma non c’è sistema che regge a lungo se non ci sono introiti da spartirsi che non arrivano se non c’è il controllo capillare del territorio. Un problema che, stando alla ricostruzione investigativa, non riguardava affatto quello Cosentino, suddiviso tra i vari sottogruppi e in relazione alla sostanza stupefacente spacciata, con alcune specializzazioni: l’eroina era appannaggio pressoché esclusivo del clan degli zingari, la cocaina, invece, tendenzialmente era trattata dai gruppi degli italiani.
Dunque, quello messa in luce dagli inquirenti, è a tutti gli effetti un gruppo criminale molto ben organizzato, in maniera quasi ossessiva. Prova ne è la conoscenza sistematica, da parte dei vertici, dell’identità di ciascun soggetto incaricato dello spaccio e del relativo gruppo di riferimento, in modo da non lasciare spazio per lo spaccio a soggetti esterni e per poter sempre ricondurre ogni spacciatore, attivo a Cosenza, ad uno dei gruppi autorizzati. E poi la mutua assistenza tra il gruppo degli italiani e gli “zingari”: se uno di loro fosse rimasto malauguratamente senza droga, l’altro si sarebbe preoccupato di rifornirlo. (redazione@corrierecal.it)
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