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La Spectre globale della cocaina: broker italiani e «amici» colombiani. «Vogliamo spedire 30 tonnellate all’anno»

Gli affari monstre dei broker tra Calabria e Sudamerica. «Da lì partono da 2mila chili in su». L’organizzazione muoveva centinaia di milioni. E tanta droga, forse troppa. «Madonna mia, non hanno li…

Pubblicato il: 07/10/2022 – 7:08
di Pablo Petrasso
La Spectre globale della cocaina: broker italiani e «amici» colombiani. «Vogliamo spedire 30 tonnellate all’anno»

REGGIO CALABRIA «Compà, lì è casa nostra… meglio di tutti gli altri porti. Noi lì stiamo con chi gestisce tutto… E sono amici da 25 anni… Compà con gente apposto, da lì non partono 500-1000 dovete parlare di 2mila in su». Non è un’iperbole: il gruppo di narcos che aveva come base logistica il porto di Gioia Tauro era in grado di movimentare tonnellate di cocaina. E Bartolo Bruzzaniti lo sa: sta parlando di un porto del Sudamerica, quello di Turbo, in Colombia, e dei contatti di una «vasta compagine criminale». Una spectre globale del narcotraffico – i cui contatti in Italia sono Bruzzaniti, il boss dei Van Gogh Raffaele Imperiale e il broker Bruno Carbone – «composta da altri personaggi sudamericani presumibilmente colombiani)». Gruppo dotato «di fonti di approvvigionamento elevatissime, che consentono di controllare le esportazioni di cocaina dal porto di Turbo e di pianificare una miriade di forniture in varie parti del mondo, non solo in Italia». Sarebbero questi gli «amici cari da decenni» ai quali fa riferimento Bruzzaniti nelle conversazioni intercettate nell’inchiesta coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostituti procuratori Domenico Cappelleri e Paola D’Ambrosio. 

Le entrature in Colombia e l’organizzazione planetaria

Il sistema criminale ha, per i magistrati antimafia, «forti entrature in Colombia» che gli derivano da «una sorta di “lasciapassare” dai cartelli che controllavano lo scalo portuale di Turbo». Si aprivano, così, finestre di una intera settimana per consentire i traffici. Sarebbe stato Imperiale a tenere i rapporti con la fazione colombiana, con cui era direttamente in contatto per la pianificazione degli affari». Sono le chat criptate a provare contatti ed entrature: con i sudamericani discuteva «non soltanto dell’affare Turbo ma anche di successive o contestuali esportazioni da inviare nel resto del mondo». Con Imperiale, secondo gli investigatori, «cooperava attivamente anche Bruno Carbone», altro narcotrafficante che «non soltanto era coinvolto nel gruppo Turbo ma era legato al gruppo da cointeressenze illecite di altissimo livello, finalizzate sempre ai traffici di cocaina». Il 20 febbraio 2021, in effetti, Imperiale ragguagliava Carbone sui traffici in corso, «facendo riferimento, oltre al lavoro di Turbo (“Se Dio vuole coroniamo questa di Turbo”), a un’importazione di 1.000 kg, definita “balcone”, in fase di compimento (”Bro’ scendiamo sti 1000 di balcone”), che, insieme all’altra, avrebbe sostenuto ampiamente le loro finanze (“Stiamo meglio di prima dai”)». Imperiale e Carbone sono pianificano la logistica dei carichi, trovano depositi per lo stoccaggio della coca, organizzano i trasporti: sono i terminali operativi del sodalizio. Sono loro a dettare le linee guida, come si evince dall’affermazione di Carbone riferita a un soggetto non meglio precisato citato da Imperiale: «Deve stare con noi e fare una logistica più concreta in Olanda». L’organizzazione, è l’ipotesi investigativa, è planetaria. 

I complimenti dei “compari” in Calabria. «Come voi non c’è nessuno»

Per quanto i “lavori” documentati dalle indagini fossero di grossa entità, le conversazioni captate rivelano che si tratta di «segmenti di una condotta delittuosa molto più ampia, portata avanti all’interno di una struttura criminale di livello estremamente elevato operante nel settore del narcotraffico». È questo il mare in cui nuotano Imperiale e Carbone: il loro scopo è quello di «strutturare nel migliore dei modi i canali di export utilizzati per lavori “balcone” e “Turbo”, che avrebbero consentito loro di trattare circa 3 tonnellate al mese». Si parla di centinaia di milioni di euro. Numeri e obiettivi dichiarati del business sono giganteschi: il progetto sarebbe quello «di procedere ogni anno a trattare e spedire circa 30 tonnellate di stupefacente».  
«Come voi non c’è nessuno», scrive a Bruzzaniti Domenico Iannaci, che gestisce i traffici sulla sponda calabrese. Il riferimento è alla “squadra”, capace di movimentare tonnellate di cocaina da un continente all’altro. L’idea è quella di una cooperazione a lungo termine con i calabresi, «che avrebbe assicurato a tutti i compartecipi una pensione dorata». 

Tanta cocaina, forse troppa. «Madonna mia, non hanno limiti»

Per i magistrati non ci sono dubbi: «È chiaro che il gruppo rappresentato da Papalia (riferimento in Calabria, ndr) e quello di Bruzzaniti avessero pianificato un programma criminoso comune, non limitato alla sola importazione di “Turbo”, che invece prevedeva una serie di invii di sostanza stupefacente dal Sudamerica a Gioia Tauro a medio termine». 
Alla data del 16 dicembre 2020, il progetto era già partito. Oltre al “lavoro di Turbo”, infatti, era in esecuzione un altro in viaggio sulla Msc Naomi, secondo Bruzzaniti da considerarsi ormai cosa fatta: «a posto». («Sì quello è a posto pure compa’», scrive a Papalia). «Quel che più contava, in quel momento – appuntano gli inquirenti –, era la disponibilità in capo al gruppo di Bruzzaniti, di ben 2.800 ulteriori panetti di cocaina da inviare in Italia. “Abbiamo 2.800 da spedire”». 
«Madonna mia, non hanno limiti», commentano dalla Calabria riferendosi alle capacità del gruppo di riferimento di Bruzzaniti, definito il «number one» del settore. La droga è così tanta che uno dei sodali si dice preoccupato: «Ricorda che le grosse quantità potrebbero essere scomode». 
Dalla Colombia si pianificano carichi nell’ordine delle tonnellate, tant’è che Bruzzaniti ironizza su un altro trasporto arrivato a Gioia Tauro e organizzato da altri narcos ritenuti di livello più basso. Si tratta di una importazione da una tonnellata diventata un viaggio di “soli” 350 chilogrammi di coca. «Non c’è gruppo che può fare quello compa’, senza offesa».  (p.petrasso@corrierecal.it)

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