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«Nessun impegno per sostenere la ‘ndrangheta». Ecco come è crollato il “Sistema Rende”

Le motivazioni della sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza, nei confronti degli indagati. «Nessuna quota nella bacinella del clan Lanzino-Ruà»

Pubblicato il: 05/12/2022 – 17:10
di Fabio Benincasa
«Nessun impegno per sostenere la ‘ndrangheta». Ecco come è crollato il “Sistema Rende”

COSENZA Il processo “Sistema Rende” si era chiuso nello scorso mese di Maggio con l’assoluzione di tutti gli imputati: Sandro Principe (difeso dai legali Franco Sammarco, Paolo Sammarco e Anna Spada), Umberto Bernaudo (difeso dall’avvocato Francesco Calabrò) Pietro Paolo Ruffolo (difeso dagli avvocati Franz Caruso e Francesco Tenuta),  Giuseppe Gagliardi (difeso dall’avvocato Marco Amantea). A distanza di oltre sei mesi dal verdetto sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza pronunciata dal tribunale di Cosenza in composizione collegiale.

Le motivazioni

Sul presunto intreccio tra politica e ‘ndrangheta, sui presunti rapporti tra Sandro Principe e alcuni gruppi della mala cosentina, il giudice rileva come «le emergenze consolidatesi in sede di istruttoria dibattimentale non hanno consegnato la prova che tale interessamento si sia colorato di profili di illiceità, tanto meno che egli, in ragione dei diversi ruoli politici rivestiti negli anni o agendo quale extraneus, abbia mosso e/o
avallato l’attuazione di atti contrari ai doveri d’ufficio, tantomeno avvalendosi dei sostenitori politici o degli amministratori Bernaudo e Ruffolo». Nel corso del dibattimento, dunque, è emerso con chiarezza il ruolo di leader della coalizione del partito democratico assunto negli anni 1990 da Principe, «nella veste di personaggio di spicco della coalizione di riferimento e comunemente riconosciuto quale punto di riferimento, non solo in ambito locale, di un certo contesto politico, sull’onda della tradizione politica avviata dal padre Francesco Principe». Tutti i testi hanno, riferito di una certa «pervasività e predominanza» di Principe in ordine alle vicende del Comune di Rende. «Risultanze, queste, che, a parere del Collegio non sono risultate idonee e sufficienti a sostenere l’ipotesi accusatoria a fronte dei parametri delineati dai dettami giurisprudenziali in ordine, in primo luogo, al rigoroso regime di riscontro di attendibilità delle dichiarazioni promananti dai collaboratori di giustizia, su cui il procedimento si è fortemente incentrato».

La vicenda del Bar Colibrì

Sull’episodio del Bar Calibri, il Collegio precisa di aver riscontrato la legittimità della procedura di gara.« II bando di gara per l’assegnazione in concessione del Bar Colibrì prevedeva che si potesse passare all’aggiudicazione del locale anche con un’unica offerta (così era stato fatto, ad esempio, anche per l’assegnazione della metro leggera,
così in esame, Principe Sandro)». II dirigente preposto Raimondi ha sempre sostenuto di non aver mai recepito nessuna direttiva, «di non aver parlato con il Sindaco pro tempore, né con Principe, assumendo l’atto da sé perché sotteso alla propria esclusiva pertinenza, in ragione della programmazione di indirizzo volta alla riqualificazione dell’area mercatale, che si voleva dotare di un servizio bar fruibile agli utenti». Per quanto attiene la divergenza della datazione sulle fatture (una antecedente alla domanda di scomputo) «non appare idonea a configurare il reato in contestazione, che sarebbe comunque da ascrivere, in caso, al responsabile che avrebbe omesso l’opportuno controllo». Ad ogni modo, per il Collegio, «rispetto a questa ed alle altre vicende di imputazione, non è stata suffragata la prova del presunto canale privilegiato di accesso di cui avrebbe fruito D’Ambrosio rispetto ai settori istituzionali, atteso che alcuni testi – nonchè collaboratori di giustizia, su cui si dirà oltre – riferivano di aver sentito dire che egli paventasse di aver ricevuto favori dal Principe e dai sostenitori della coalizione».

Le assunzioni nella Cooperativa “Rende 2000”

Altro nodo dell’accusa riguardava le presunte assunzioni dettate da Principe nella Cooperativa Rende 2000 di tipo B. «I soggetti pregiudicati, dunque, appartengono, ontologicamente, nei limiti di una quota, alla categoria di disagiati da inserire nell’ambito lavorativo. La quota era rispettata (12- 13% su un massimo di 30%, 24 dipendenti su 197) e Di Puppo veniva assunto nel 2005. All’epoca non era gravato da condanne definitive per delitti di mafia (interverrà nel 2015) e al momento dell’assunzione Principe si era dimesso». Ettore Lanzino veniva assunto nel 2008 quando Principe era Consigliere regionale, capogruppo regionale del Pd. E infine, secondo il Collegio, «anche le propalazioni dei collaboratori di giustizia non sono sufficienti ad elevare a prova i meri indizi di reato collazionati».

Le conclusioni

Nelle conclusioni, il Collegio mette nero su bianco che «non è emerso che gli odierni imputati avessero oggettivamente assunto impegni per favorire e rafforzare il sodalizio criminoso, tanto meno che essi, nella ipotesi che la quota – parte della retribuzione derivata dalla prestazione lavorativa presso le Cooperative fosse dirottata nella “bacinella” dei Lanzino – Ruà, ne fossero soggettivamente consapevoli. Per quanto esposto, gli imputati devono andare assolti dai reati rispettivamente loro ascritti,
con formula piena, perché il fatto non sussiste».

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