COSENZA Il tempo di insediarsi come coordinatore della Direzione distrettuale antimafia (la nomina risale allo scorso 7 gennaio) ed ecco arrivare immediatamente il grande colpo: l’arresto del boss latitante, da trent’anni, Matteo Messina Denaro, considerato da sempre tra i più pericolosi d’Italia. Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano rappresentante della mafia trapanese, è uno dei boss più potenti di Cosa Nostra. Paolo Guido, 55 anni, procuratore aggiunto di Palermo a cui dal 2017 è stata affidata la delega sulle indagini per la cattura del boss Matteo Messina Denaro, è calabrese, per l’esattezza di Acri in provincia di Cosenza. Dopo essersi diplomato nella città dei bruzi, si è trasferito a Roma per gli studi universitari in Giurisprudenza. Successivamente, dopo essere entrato in magistratura, è arrivato il passaggio nella città di Palermo. Proprio grazie al suo lavoro, oggi il boss siciliano più ricercato d’Italia è stato assicurato alla giustizia dopo decenni di operazioni andate a vuoto. In magistratura dal 1995, prima dell’ultima nomina il procuratore cosentino si era occupato prevalentemente delle indagini sulla mafia trapanese e agrigentina. Un uomo, descritto dai suoi più stretti collaboratori, come affidabile e scrupoloso, dotato di un’esperienza ampia nel campo delle indagini sulla mafia siciliana. Anche per questa ragione, probabilmente, è stato il primo ad aver assunto, in maniera esclusiva, la delega al coordinamento della Dda palermitana. La decisione era stata giustificata dall’esigenza di garantire una visione ampia e unitaria al fenomeno mafioso nel territorio.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2010, Guido, che a quel tempo coordinava come sostituto procuratore della procura antimafia di Palermo il gruppo di investigatori che lavoravano alla cattura di Matteo Messina Denaro, definiva così Messina Denaro: «Messina Denaro si interessa solo dei grandi affari e dei grossi business. Impone il pesante controllo mafioso su tutto il territorio, ma lascia vivere i piccoli commercianti, che non tartassa, a differenza di quanto accade in altre zone, con continue richieste estorsive. Questo contribuisce a mitizzare la sua figura, anche in ragione delle leggende che lo accompagnano, quali la sua passione per le belle donne e le belle macchine». Alla domanda sul perché il boss fosse inafferrabile dal 1992, Guido aveva risposto che «ovviamente le ragioni sono molteplici e variegate. Tra le tante, ne indicherei due: la prima è che Matteo Messina Denaro è stato, come dire, abituato da piccolo e ha respirato l’aria di famiglia. Egli infatti inizia la sua latitanza in compagnia del padre Francesco, vecchio e autorevolissimo uomo d’onore, anche lui per lunghi anni latitante, e morto a 70 anni proprio durante quel periodo. La seconda, ben più preoccupante, è che Messina Denaro gode delle protezioni e della rete di connivenze e omertà che, ancora nel 2010, connota le zone più impenetrabili della Sicilia occidentale».
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