La tragedia di Cutro con la morte di migranti di ogni età ha dei responsabili nei trafficanti di uomini e donne, ben identificati.
Il ministro dell’Interno Piantedosi ha dichiarato, giungendo sulla spiaggia di Steccato di Cutro: «L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire». Spero che il ministro e il suo sottosegretario calabrese Wanda Ferro sappiano che le carrette della morte possono essere fermate e che qualcuno, al vertice alla Prefettura di Crotone, abbia fornito le notizie necessarie a fermare alla radici le tragedie del mare.
Noi sappiamo che lo scorso 16 gennaio Piantedosi in un vertice con il suo omologo turco ad Ankara ha firmato un accordo per avere un distacco in Italia di funzionari di quel ministero esperto in migrazione. Sono arrivati questi funzionari? E sono al corrente delle inchieste italiane?
Da tempo le Procure di Reggio Calabria e di Catanzaro hanno aperto dei fascicoli d’indagine con informazioni molto importanti per stroncare l’infame commercio. Sono state infatti inviate richieste di rogatorie internazionali, prima del varo del nuovo governo, spedite secondo protocollo a magistrati e investigatori in Turchia e in Grecia. Ma da Est nessuno ha risposto alle sollecitazioni fatte partire da Gratteri e Bombardieri. I procuratori calabresi da tempo hanno operato con i loro colleghi di Genova, Bari, Catania, ricostruendo una nascosta rete di trafficanti che dal 2018 al 2020 ha trasportato oltre 5.000 migranti fatti sbarcare in larga parte sulla costa jonica calabrese, ma anche in Sicilia e Puglia per un giro d’affari che l’Espresso ha calcolato in dieci milioni di euro.
Usano “carrette” del mare come quelle di Cutro. Sono natanti rubati o comprati a poco prezzo. In passato sono stati arrestati pesci piccoli italiani che si occupano di far espatriare i migranti fuori dalla nostra nazione. Ma la centrale del crimine non ha mai subito colpi grazie alla sonnolenza della collaborazione turca e greca a indagini che dovrebbero avere priorità. L’organizzazione dispone di ingenti denari e di un sistema di riciclaggio che sfugge ad ogni controllo. Vale sempre il sistema Falcone – “segui i soldi” – anche per disintegrare questi mercanti di morte.
I precedenti non mancano. In un vecchio dossier dell’Unione Europea si legge di ben tre sodalizi criminali che in Turchia «avevano istituito una centrale operativa con struttura logistica» collegata a ramificazioni nazionali in Grecia, Pakistan, Albania, ed ex paesi dell’Unione Sovietica. Prima della guerra sono stati molti gli ex marinai ucraini arrestati come scafisti degli sbarchi in Calabria. Ora sono di nuovo aumentati i turchi, e non mancano gli asiatici. La crisi afghana ha fatto aumentare le richieste dei disperati che fuggono dai talebani, che attraversano l’Asia per raggiungere la Turchia, stesso cammino della disperazione avviene da persone in fuga dal Corno d’Africa. I velieri e le barche partono da porti turchi, come quella affondata a Cutro partita da Smirne. Altri luoghi di partenza sono stati identificati a Marmaris, Cannakele, Babakele Bodrum. Nel marzo del 2021 il rappresentante dell’Unione Europea, lo slovacco Drahoslav Stefanek, si è recato a Cannakele e ad Ankara per illustrare il problema ma soluzioni non ne sono derivate.
Prima di politiche europee di contrasto alle cause dell’emigrazione, bisogna adoperarsi sul fronte della repressione sgominando le centrali del crimine che lucrano sui disperati. Nel 2019 il Rapporto annuale sul traffico di esseri umani pubblicato dal Dipartimento di Stato di Washington segnalava che «l’Italia ha diminuito le indagini sulla tratta». Non è una notizia vera. In Italia le indagini sono state svolte, è la Turchia che non collabora.
Il governo italiano si attivi con i ministri dell’Interno, della Giustizia, della Giustizia per ottenere le rogatorie necessarie che possano arrivare al cuore del problema. Altrimenti continueremo a piangere innocenti mentre la mafia degli sbarchi organizza flotte di carrette per un posto pagato a caro prezzo da famiglie di disperati in cerca di un altrove che a volte raggiungono da cadaveri. (redazione@corrierecal.it)
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