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La “sfida” dell’oncologo Barbieri: «Dobbiamo ritrovare la fiducia dei pazienti calabresi»

Il primario del “Pugliese-Ciaccio”: «Presto il Centro di accoglienza oncologica. Più servizi e più efficienza per frenare i viaggi della speranza»

Pubblicato il: 15/03/2023 – 9:14
di Emiliano Morrone
La “sfida” dell’oncologo Barbieri: «Dobbiamo ritrovare la fiducia dei pazienti calabresi»

CATANZARO Oggi Corriere Suem torna a parlare di tumori: diagnosi, terapie, presa in carico del paziente, strumenti disponibili, percorsi specifici, riorganizzazione dei servizi, cure innovative, qualità e necessità del sistema pubblico della Calabria in campo oncologico. Il dottore Vito Barbieri, primario oncologo dell’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, ci ha rilasciato una lunga intervista su questi aspetti, in modo che i lettori del Corriere della Calabria sappiano come sono seguiti i pazienti del Catanzarese e conoscano le principali iniziative della Regione Calabria volte a migliorare l’assistenza oncologica. A Catanzaro, anticipa Barbieri, tra qualche giorno sarà attivo il Centro di accoglienza oncologica (Cao), che, su impulso del medico di famiglia, «pianificherà per il paziente con sospetta neoplasia la visita specialistica ambulatoriale o le prestazioni diagnostiche necessarie caso per caso, oltre che la valutazione di un team multidisciplinare con lo scopo di garantire una visione complessiva, stabilendo il percorso diagnostico e di cura più appropriato». Al riguardo, il prossimo sabato 18 marzo, informa il primario, si terrà a Catanzaro «un meeting al quale i medici di Medicina generale sono invitati per essere messi a conoscenza dei dettagli della progettualità e stabilire le modalità di interazione e collaborazione».

Quali patologie cura il reparto che lei dirige? Come è strutturato? Quali sono le terapie somministrate?
«Nella mia Struttura operativa complessa vi sono: un reparto di degenza ordinaria con 11 posti letto per i pazienti con problematiche che richiedono il ricovero; un’area ambulatoriale nella quale sono attivi, in giorni diversi, ambulatori per diverse patologie oncologiche, nei quali le visite sono effettuale da oncologi ognuno referente per un’area di patologia specifica, comprese numerose giornate di ambulatori dedicati alle visite oncologiche per i tumori della mammella (Breast Unit); un’area di Dh/Pac (Day Hospital/Pacchetti ambulatoriali complessi, ndr), dove i pazienti afferiscono per percorsi di terapia giornaliera pianificati e nella quale circa 50 pazienti, ogni giorno dal lunedì al venerdì, dopo aver eseguito i necessari prelievi ematici e la visita, ricevono terapie oncologiche endovenose, sottocutanee oppure orali. Tutte le terapie autorizzate e rimborsate dall’ente regolatorio ministeriale (Aifa) sono a disposizione dei nostri pazienti, ma anche terapie riconosciute da evidenze scientifiche internazionali e ancora non disponibili. Per queste ultime sono utilizzabili programmi Eap (Expanded Accces Program, ndr) per poterle offrire ai nostri pazienti. Sono anche disponibili alcune sperimentazioni cliniche per nuovi farmaci o nuove indicazioni».

Quali sono le neoplasie con maggiore incidenza nel territorio?
«Come in tutta Italia, pur con piccole differenze, i tumori con maggiore incidenza sono i tumori della prostata e del polmone negli uomini, i tumori della mammella nelle donne ed i tumori del colon in entrambi i sessi. Complessivamente, la Calabria ha un’incidenza di tumori leggermente inferiore a quella delle altre regioni italiane, secondo i dati ufficiali raccolti dai registri tumori (Airtum) e dall’Associazione italiana Oncologia Medica (Aiom)».

Vi state organizzando con i medici di famiglia per facilitare l’accesso alle cure dei tumori polmonari. Quali sono, al riguardo, le novità in programma e quali i tempi di attuazione? Quali vantaggi ne potrebbero derivare per pazienti e familiari?
«I tumori polmonari sono i più frequenti fra gli uomini ed ancora in aumento fra le donne. Perciò abbiamo pensato di organizzare un punto di accesso alla diagnosi e cura presso la nostra sede. Questo si concretizza con la nascita, organizzata e deliberata nell’Azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio, del Centro di accoglienza oncologica (Cao). Il Cao è stato realizzato pensando alle finalità della Rete oncologica della Calabria, istituita nel 2015, fra le quali vi è la realizzazione di punti di accesso con presa in carico globale e continua del paziente oncologico. Questo progetto vede il ruolo chiave dei medici di famiglia, giacché ad essi è dedicato apposito numero di telefono al quale essi possono chiamare per sottoporre il problema specifico del proprio assistito con sospetto tumore polmonare. Giorno 18 marzo si terrà un apposito meeting a Catanzaro, al quale i medici di Medicina generale sono invitati per essere messi a conoscenza dei dettagli della progettualità e stabilire le modalità di interazione e collaborazione. Il Cao, che sarà attivo fra pochi giorni, attraverso una figura infermieristica formata allo scopo ed un referente oncologo di patologia, pianificherà per il paziente con sospetta neoplasia la visita specialistica ambulatoriale o le prestazioni diagnostiche necessarie caso per caso, oltre che la valutazione di un team multidisciplinare con lo scopo di garantire una visione complessiva, stabilendo il percorso diagnostico e di cura più appropriato. In questo modo, l’utente disporrà di un servizio che faciliti e renda più rapido l’accesso alla struttura sanitaria e che lo accompagni durante l’intero iter di cura. Inizialmente il Cao è diretto ai sospetti di neoplasia polmonare, ma lavoreremo per strutturare i percorsi anche per altre neoplasie, fra quelle per le quali c’è più richiesta. Abbiamo, prossimo a deliberazione, anche il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per le neoplasie polmonari, applicato alle nostre strutture cliniche, che integra le necessarie professionalità presenti nell’area di Catanzaro, in attuazione del Pdta di indirizzo deliberato dalla Regione Calabria con decreto commissariale numero 83 del 2022».

Spesso i malati oncologici emigrano in altre regioni, soprattutto del Centro e del Nord, per i trattamenti sanitari di cui necessitano. Perché, c’è una mancanza di fiducia nella sanità calabrese? Prevale una cattiva pubblicità rispetto ai servizi attivi? Esiste un’informazione ancora poco efficace rispetto ai percorsi diagnostici e terapeutici? Come valuta, da specialista, il funzionamento di questi percorsi?
«I malati oncologici emigrano in altre regioni poiché, nello sgomento per una diagnosi o anche un solo sospetto di malattia neoplastica, hanno bisogno di sentirsi presi in carico in modo adeguato. In alcuni casi di malattia neoplastica non comune, che richiedono expertise e casistica presenti solo in alcuni punti di riferimento nazionale, si attua una migrazione sanitaria di necessità. Nella maggioranza dei casi, la fuga diventa invece una migrazione per scelta, pur trattandosi di patologie comuni. La scelta scatta proprio perché spesso la sanità calabrese offre meno fiducia o per lo meno viene ritenuta, anche per cattiva pubblicità e per luoghi comuni, come inadeguata o comunque meno adeguata di centri dove la qualità percepita è maggiore. È normale che, davanti ad un serio problema, un paziente ed i suoi familiari cerchino il posto con le potenzialità, reali o percepite, per dare la migliore assistenza. Molti di questi pazienti rinuncerebbero ai disagi del viaggio, se avessero consapevolezza di poter ricevere le risposte necessarie vicino casa. Per questo motivo i centri in regione, oltre ad integrare le proprie attività diagnostiche e terapeutiche in modo adeguato, devono poter comunicare chiaramente le competenze che possono mettere a disposizione. In questo, il medico di Medicina generale è il primo che deve essere informato e così poter guidare i propri pazienti verso il percorso più opportuno in Calabria. Ai pazienti, comunque, non va negato il conforto di un eventuale secondo parere, anche fuori sede. Va tuttavia messo a disposizione il percorso completo, non lontano da casa, necessario ad affrontare il problema del paziente. Il problema dei Percorsi diagnostico terapeutici è rilevante, giacché anche l’assenza di un solo anello della catena può inficiarne l’efficacia. Per questo i Pdta per le principali patologie devono essere codificati in ogni azienda ospedaliera, o almeno in quelle riconosciute come Hub della Rete oncologica. Se un solo esame di quella catena è mancante, la catena si interrompe e così il percorso del paziente si allunga, alla ricerca della sede dove eseguire l’esame mancante o al proseguimento dell’iter alterato da quella mancanza. Nella nostra area è fondamentale dare risposte diagnostiche tempestive. Esempi di rilevanti “anelli della catena” sono gli endoscopisti sempre tempestivamente disponibili, così come i radiologi interventisti per i prelievi bioptici necessari. La disponibilità, per la mia struttura, di una Radiologia dedicata che nello stesso presidio risponde alle nostre richieste di esami Tac e Rm è un benefit da consolidare e rinforzare. Così come nell’area di Catanzaro è indispensabile dare più diponibilità in termini di esami Pet. Davanti al numero delle prestazioni necessarie nell’area di Catanzaro, non c’è da stupirsi se siano utili due Pet, giacché una sola non può sopperire a tutto, neppure se lavorasse per 24 ore non stop e senza pause per le necessarie manutenzioni. Così come è importante la disponibilità delle procedure diagnostiche, risultano condizionanti le tempistiche con cui si concatenano i vari esami e l’attivazione delle terapie. A tal fine, oltre al monitoraggio delle tempistiche di ogni passaggio di un Pdta attraverso indicatori specifici, è fondamentale che siano presenti case manager, cioè figure sanitarie, ad esempio infermieristiche, che conoscono le tappe dei Percorsi diagnostico terapeutici e tengono le fila del percorso di ogni paziente preso in carico al fine di ridurre i relativi tempi all’essenziale; non solo ottenendo le prenotazioni degli esami indicati, ma anche recuperando e sottoponendo tempestivamente gli esiti degli stessi esami agli specialisti o ai gruppi multidisciplinari che li devono valutare. All’interno del nostro Cao è stata individuata la figura del case manager. Tale professionalità, essendo formata allo scopo ed avendo esperienza sanitaria di lunga data, per essere efficiente nel suo nuovo ruolo, viene per forza sottratta ad un ruolo infermieristico, che comunque necessita, a sua volta, di reintegrazione con nuovo personale».

Di che cosa avrebbe bisogno il reparto di cui è responsabile, per migliorare la qualità dell’assistenza?
«Anche se la sfiducia verso la sanità calabrese è un luogo comune, i pazienti che afferiscono alle strutture sanitarie in regione ed anche alla mia sono sempre in aumento. Per poter rispondere a questo aumento di richiesta di assistenza, è fin troppo semplice identificare le necessità: spazi, strutture e personale. Inevitabilmente, se bisogna visitare e trattare più pazienti, bisogna disporre di più stanze per ambulatori e per terapie. In generale le attese del paziente – sia per arrivare alla data specifica per iniziare il trattamento che durante la giornata in cui egli attende per riceverlo – possono determinare una qualità percepita come inadeguata, anche se nel complesso la prestazione viene resa in modo professionalmente corretto. Naturalmente, anche l’organico medico ed infermieristico condiziona le attese e quindi deve essere continuamente riproporzionato all’aumento dell’utenza afferente. L’attuale amministrazione, con il commissario straordinario, i direttori amministrativo, sanitario e di Presidio, è molto sensibile ed impegnata in questo senso. Ancora, per migliorare la qualità dell’assistenza, sarebbe utile disporre di una gestione informatizzata delle attività cliniche. A tal fine, la Regione Calabria sta per predisporre un Piano regionale uniforme per cartella clinica informatizzata. Auspichiamo che parta prima possibile, visto quanto decretato con il recente decreto commissariale numero 70 del 2023».

Abbiamo già sentito degli oncologi che lavorano in strutture pubbliche della Calabria. Alcuni ci hanno detto che ancora manca una completa presa in carico del paziente. Qual è il suo punto di vista in proposito?
«Come già ho sottolineato, l’accesso e la presa in carico sono i principali elementi di cui ha bisogno l’utenza per non consolidare la sfiducia che sfocia nelle fughe fuori regione. Proprio per questo, ci stiamo adoperando per creare attività come il Cao, che, una volta a regime, sarà offerto ai medici di Medicina generale gradualmente, anche per altre patologie oltre ai tumori polmonari. Al riguardo si stanno codificando i Pdta al fine di implementarli per i principali tumori. Inoltre, per rendere le decisioni per ogni caso più adeguate possibile, si vanno realizzando le Unità di valutazione multidisciplinare (Uvm) per patologia. In esse, specialisti di diverse branche partecipano alle decisioni cliniche in un unico momento di riunione periodico. Così già accade per la Breast Unit, in cui si riuniscono oncologi, chirurghi, radiologi senologi, radioterapisti eccetera. Nel caso dei tumori polmonari, l’Uvm è organizzata online, con un programma dedicato che permette di ottimizzare i tempi delle riunioni, eliminando gli spostamenti dei componenti e permettendo di dedicare il tempo giusto alla presentazione dei casi, alla valutazione degli esami, a concordare le decisioni da verbalizzare ed inserirle nella cartella del paziente».

Prevenzione, alta chirurgia e immunoterapia personalizzata sono ritenute armi importanti per evitare e sconfiggere i tumori. Qual è, nel merito, la situazione nel territorio di Catanzaro?
«La prevenzione in forma di screening – per mammella, cervice uterina e colon – è affidata, come da normativa, alle Aziende sanitarie provinciali. Comunque, nella nostra struttura è attivo un progetto ministeriale che ha individuato 18 centri in tutta Italia per testare le modalità di esecuzione dello screening per tumore polmonare nei forti fumatori, con Tc (Tomografia computerizzata, ndr) spirale a basse dosi. Siamo ora impegnati nel reclutamento dei volontari; al momento i primi sono già una sessantina che hanno iniziato a partecipare al progetto. L’obiettivo del ministero della Salute è acquisire dati per stabilire se nei prossimi anni inserire tale screening nei Lea. Il progetto si chiama Risp (Rete italiana screening polmonare, ndr) e chiunque può partecipare iscrivendosi, dopo aver verificato se rientra nei criteri di rischio, tramite il sito www.programmarisp.it. Per alta chirurgia intendiamo chirurgie specialistiche di patologia. In tal senso, anche la Rete oncologica ha individuato i requisiti per le chirurgie senologiche, per la chirurgia toracica, la chirurgia del colon, la chirurgia ginecologica e la chirurgia prostatica. Ogni Hub deve poter offrire tali interventi. Nel caso del nostro Hub, casistiche ed expertise sono consistenti per ognuna delle chirurgie su elencate. Nella domanda che mi viene posta si parla di “immunoterapia personalizzata” giacché una delle più grandi innovazioni nella cura dei tumori di questi ultimi anni è consistita nell’impiego di farmaci che attivano il sistema immunitario a combattere contro “l’intruso”, come se si andasse a risvegliare il proprio cane da guardia temporaneamente addormentato. È una grande innovazione, che sta trovando utile applicazione in molti tumori ed in diverse fasi della malattia, tanto da aver fruttato il premio Nobel ai ricercatori che ne scoprirono le basi che oggi vengono applicate. Tuttavia, oltre alla immunoterapia, la cui personalizzazione è ancora in evoluzione, giacché ancora c’è molto da scoprire sui meccanismi di attivazione e di resistenza ad essa, la personalizzazione delle cure passa anche dalla scoperta e messa in campo terapeutico di molti meccanismi molecolari che sostengono la crescita tumorale, ognuno in un modo specifico e dominante in taluni tipi di tumore. Questa branca delle cure oncologiche definisce le cosiddette “terapie mirate”, per cui l’individuazione del meccanismo molecolare e la conoscenza di nuovi famaci che lo possono bersagliare permette di ottenere un notevole controllo di molti tumori con terapie poco tossiche e spesso orali. Nel nostro territorio, queste cure sono tutte disponibili, come – e talvolta più – che in altre regioni. Tuttavia, l’elemento fondamentale per applicare queste cure consiste nel conoscere l’esistenza di questi bersagli molecolari nel tumore del nostro specifico paziente. Per sapere questo, bisogna disporre di tecniche di analisi moderne, che in una sigla si definiscono Ngs (Next generation sequencing, ndr). Le tecniche in parola permettono di individuare la presenza di queste alterazioni analizzando il pezzo istologico del tumore del paziente, ed in casi particolari anche il Dna tumorale circolante nel sangue. Basti pensare che solo per i tumori polmonari esistono al momento circa 10 possibili bersagli da andare a ricercare, ognuno con la sua possibile terapia specifica, quasi sempre molto più attiva di una chemioterapia e talvolta anche più di una immunoterapia. Nella nostra azienda è imminente l’attivazione di questa diagnostica molecolare, per cui aumenterà il numero dei pazienti che potranno usufruire di cure personalizzate».

Con l’entrata in funzione dell’Azienda unica Renato Dulbecco, come e quanto cambierebbe l’assistenza oncologica nel Catanzarese? Come verranno riorganizzati i servizi ospedalieri dedicati alle diagnosi e alle terapie dei tumori?
«In linea di massima, l’Azienda unica Renato Dulbecco, attraverso l’integrazione delle competenze con percorsi interni, dovrebbe in sintesi migliorare la quantità e la qualità dei percorsi di cura. Non è a mia conoscenza la modalità specifica di riorganizzazione dei servizi, giacché questa sarà demandata ad una amministrazione unica, che deve ancora essere costituita, ed avrà l’impegno di definirne ogni aspetto. Quando questa organizzazione sarà tracciata con tanto di specifico Atto aziendale, nascerà funzionalmente la nuova Azienda».

Qual è il suo auspicio per il futuro delle cure oncologiche nell’area catanzarese?
«Auspico un aumento di servizi ed una organizzazione che definisca una qualità percepita capace di incoraggiare i pazienti oncologici della nostra area a rinunciare a viaggi spesso superflui e comunque sempre faticosi e dispendiosi, per poter essere curati adeguatamente vicino casa; non per ultimo con quella continuità che la vicinanza può offrire». (redazione@corrierecal.it)

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