La stanza del figlio
Ieri un giovane cosentino, Gabriele Greco, è morto ad Aversa. A soli 29 anni. La notizia ha fatto più clamore perché i genitori, Francesco Greco e Ginevra Vercillo, sono due persone abbastanza conosc…

Ieri un giovane cosentino, Gabriele Greco, è morto ad Aversa. A soli 29 anni. La notizia ha fatto più clamore perché i genitori, Francesco Greco e Ginevra Vercillo, sono due persone abbastanza conosciute in città.
Perché e come sia morto non si sa. E forse paradossalmente sarebbe anche meglio non saperlo per spegnere la bulimica” cattiveria”dei cosentini, la cui curiosità sfora irrimediabilmente sempre nella calunnia. È sempre opportuno ricordare che San Francesco da Paola e Gioacchino da Fiore temevano a tal punto la città da starsene lontani.
Lo strazio per la perdita di un figlio, ancora più se giovane, merita comunque una riflessione. Oscillando tra il silenzio e il racconto di Eschilo che ci esorta a tacere e a parlare allo stesso tempo.
Nessun genitore al mondo meriterebbe questo dolore. Lo esorta il Vangelo, allorquando indica nei figli coloro che devono seppellire i padri, lo ricordano la poesia e il cinema.
Giuseppe Ungaretti ne dipinge un quadro accorato in giorno dopo giorno. Nanni Moretti ne fa un affresco commovente ne La stanza del figlio.
Ognuno di noi nasce avendo come paure primordiali quella della morte e della perdita del senno. Chi diventa genitore, invece, sostituisce nella gerarchia dei timori la perdita di un figlio .
Il vuoto tremendo che lascia un dolore del genere Moretti lo riassume quando ripercorre da solo le montagne russe, ricordando il momento in cui ciò era stato condiviso con il figlio, gridando a se stesso la rabbia di chi non può trovare nessuna logica per leggere una realtà insopprimibile.
Ungaretti riuscii a vivere. A sopravvivere. Moretti chiude il suo bellissimo film restituendo alla vita, nel cinismo che impone i ritmi, la forza per riprendere il cammino.
Eternamente divisi tra giaculatorie contro la società, composta peraltro da noi stessi, e nichilismo, dimentichiamo il valore della fragilità.
Ginevra è una donna che ha sofferto con molta capacità di lotta. La sua famiglia, in una città che ormai non ha più smalto e vive da provinciale, ha lasciato un’impronta di galantomismo.
Solo Munch potrebbe sintetizzare il grido sottaciuto che genera un distacco innaturale. Incomprensibile per chiunque. Non c’è Dio che regga e anzi Dio diventa il bersaglio principale cui chiedere conto per un destino così crudele.
Nei volti di Francesco e Ginevra si identificano i nostri volti stanchi.
Il racconto è dolore, dice Eschilo, ma anche il silenzio lo è. E nel mare di uno strazio che strappa l’anima si perdono le certezze illusorie che riempiono la nostra quotidianità. Forse riemerge l’empatia, sentimento nascosto dalle pretese individuali che da 40 anni hanno trasformato la solidarietà in egoismo.
Verrà il giorno in cui Francesco e Ginevra potranno riprendere lentamente il cammino. Oggi è solo un eterno pianto. Che spacca i nostri cuori.
*giornalista