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Condannati a otto e sei anni gli “agenti infedeli” del carcere di Cosenza

La decisione del collegio sulle posizioni di Luigi Frassanito e Giovanni Porco. Per l’accusa (e i pentiti) avrebbero aiutato i clan bruzi

Pubblicato il: 30/05/2023 – 12:34
di Fabio Benincasa
Condannati a otto e sei anni gli “agenti infedeli” del carcere di Cosenza

COSENZA Due condanne: otto anni per Luigi Frassanito, sei anni per Giovanni Porco. È questa la sentenza, letta questa mattina dalla presidente del collegio giudicante, Carmen Ciarcia, scaturita dal processo che si è tenuto al Tribunale di Cosenza sui presunti “Agenti infedeli” del carcere bruzio “Sergio Cosmai”. Il pm, nel corso della sua requisitoria dello scorso marzo, aveva chiesto nove anni per Giovanni Porco e 10 anni e 6 mesi per Luigi Frassanito. I legali degli imputati avevano invece chiesto l’assoluzione dei rispettivi assistiti evidenziando l’assoluta estraneità ai fatti contestati. Porco e Frassanito, secondo quanto ricostruito dall’accusa avrebbero messo in atto una serie di attività a favore dei boss della mala cosentina, realizzate tra il 2009 e il 2015. Nel corso delle udienze del dibattimento, i pentiti Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Luca Pellicori, Ernesto Foggetti, Mattia Pulicanò, Franco Bruzzese, Vincenzo De Rose, Francesco Noblea, Luciano Impieri, avevano raccontato la presunta attività “infedele” dei due agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere cosentino, dai pizzini che dalle celle avrebbero raggiunto i sodali all’esterno dell’istituto penitenziario, alla possibilità dei detenuti, per il tramite dei due agenti, di sistemarsi autonomamente all’interno delle celle di sicurezza e riunirsi senza alcun divieto.

Pizzini, mp3 e cambi di cella

Nel penitenziario bruzio come sostenuto dal pentito Pulicanò, i due agenti «facilitavano l’ingresso in cella di qualsiasi cosa: mp3, profumi, orologi, alcolici e cibi vietati». Ma non solo. Come più volte ribadito da Daniele Lamanna nel corso del suo interrogatorio, anche Pulicanò sottolinea il contributo delle “guardie” nello scambio di informazioni, tra i membri della consorteria criminale dall’interno all’esterno del carcere, tramite pizzini e “mbasciate”. «Luigi (il pentito non ricorda il cognome) è venuto da me su sollecitazione di un affiliato alla cosca che dall’esterno del carcere chiedeva una lista legata al traffico di droga. Ho inviato il messaggio di risposta – dice Pulicanò – grazie a Luigi che era a conoscenza del contenuto del pizzino».
Da un collaboratore ad un altro, Francesco Noblea si occupava prevalentemente dell’attività di spaccio. La sua prima detenzione nel carcere di Cosenza è datata 2012 (rimane sette mesi), dove poi farà ritorno nel 2015 fino al 2017. In questo periodo – racconta – «ero detenuto nella sezione comune, lontano da quella dedicata all’alta sicurezza. Su cosa accadesse lì non posso riferire con certezza, ma solo per sentito dire». «Nel mio piano non entrava droga, alcol e nessuna altra cosa proibita», sostiene il collaboratore. Che racconta di aver goduto di un unico “privilegio” nel corso della sua detenzione: la possibilità di «comunicare dalla finestra con la ex compagna». Tutto avveniva con la presunta complicità delle guardie, «si giravano dall’altra parte, dovevano chiudere un occhio perché non potevano permettersi di spifferare quello che facevano i detenuti altrimenti un giorno qualcuno avrebbe potuto bussare alla loro porta». (redazione@corrierecal.it)

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