LAMEZIA TERME La pratica è nota come “end of waste” ovvero quel processo legato al recupero di un rifiuto e alla trasformazione in prodotto che può essere usato, secondo la normativa europea, per scopi specifici, se esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto e se il suo utilizzo non comporta impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. E in tempi, quelli attuali, in cui la tematica ambientale ha assunto una grande rilevanza nel dibattito internazionale, ogni pratica attiva per lo smaltimento dei rifiuti come questa ha un’importanza cruciale per il futuro sostenibile del nostro pianeta.
Proprio il cosiddetto “end of waste” ha un capitolo importantissimo anche nell’inchiesta “Fangopoli”, quella coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con i sostituti procuratori Chiara Bonfadini e Marica Brucci, che ha portato all’emissione di 20 misure cautelari nel Catanzarese, svelando una gestione illecita dei rifiuti con particolare predilezione per i fanghi di depurazione. Tra le società coinvolte (e finite sotto sequestro) la “G&D Ecologica S.p.a.” il cui amministratore di fatto era Gioacchino Rutigliano, finito ai domiciliari, ma anche la “Costruzioni Bova srl” di cui Paolo Bova era l’amministratore di fatto e Giuseppe Bova il titolare dell’impianto. Dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro è emerso, così come riporta il gip nell’ordinanza, che la società “Costruzioni Bova” non avrebbe effettuato alcun processo di recupero del rifiuto che non avrebbe perso, così, la sua qualifica iniziale ma sarebbe soltanto transitato all’interno dell’impianto. Almeno dal punto di vista documentale. «Ne consegue – scrive il gip – che i materiali utilizzati per sottofondo stradale e riempimenti ovvero quelli sversati nei terreni a destinazione agricola altro non sono che i rifiuti stessi».
A ricostruire gli episodi ci sono le intercettazioni telefoniche acquisite dagli inquirenti. C’è, ad esempio, una conversazione del 28 luglio del 2021 tra Antonietta Vescio Campisano, dipendente della “G&D Ecologica S.p.A.” con il ruolo di responsabile dell’ufficio logistica, finita anche lei ai domiciliari, che spiega a Gioacchino Rutigliano di aver contatto Paolo Bova – finito ai domiciliari – per chiedere l’autorizzazione per il giorno seguente per lo scarico di ulteriori due carichi di rifiuti, oltre ai cinque già programmati, di scarti provenienti dalla lavorazione del pomodoro, ma di aver incontrato il rifiuto proprio di Bova. Quest’ultimo, infatti, avrebbe detto di «non avere più spazio nella buca». Conversazione dai contenuti simili intercettata qualche giorno più tardi.
«(…) non è che devono fare come vogliono, nessuno mi ha avvertito, nessuno mi ha detto niente, devo preparare dove devono scaricare». È il 6 agosto quando ancora Vescio Campisano informa Rutigliano che Bova aveva fatto scaricare solo un camion. Il 13 agosto, altra conversazione intercettata e finita nell’ordinanza del gip, ancora tra Vescio Campisano e Rutigliano. La richiesta simile alle precedenti: contattare Bova per poter programmare gli scarichi da eseguire il lunedì successivo, in particolare pomodori. Capitava anche il contrario: l’8 settembre 2021 è Bova a contattare Vescio Campisano per dirle di non poter effettuare lo scarico. «(…) la buca non ce l’ha disponibile per domani perché era strapiena e non è riuscito ad allargarla» riferisce in una telefonata a Rutigliano. In tutti i casi gli inquirenti, attraverso i segnali gps e le immagini delle videocamere riescono a localizzare i mezzi della “G&D Ecologica Spa” nei pressi dell’azienda di Bova. Come il 29 settembre 2021 quando due camion dell’azienda di Rutigliano arrivano ad Amaroni con il relativo carico da scaricare e per poterli poi riempire di nuovo con altro rifiuto in uscita dallo stesso impianto. La visione delle immagini fomite dal sistema di video registrazione – così come scrive il gip nell’ordinanza – consente di accertare l’effettivo arrivo dei veicoli preannunciati: la motrice entrata nell’impianto recante sulla fiancata il logo della “G&D Ecologica spa”, dopo soli cinque minuti, senza avere eseguito operazioni di scarico, si allontana, per poi rientrate dopo, circa cinque minuti. E, dopo essere stato lavato con una pala meccanica viene caricato di fanghi di depurazione. Lo stesso avverrà, qualche minuto dopo, con l’altro mezzo.
Presso rimpianto della “Costruzioni Bova s.r.l.”, dunque, venivano conferiti gli scarti della lavorazione del pomodoro, i quali, in realtà, vengono conferiti in un’altra località, prossima all’impianto, visto il poco tempo impiegato dai camion per scaricare e ritornarvi. I “pomodori” a cui fanno riferimento gli indagati sono a tutti gli effetti rifiuti speciali non pericolosi, scarti inutilizzati per il consumo o la trasformazione, lo scarto della produzione industriale delle conserve. Rifiuto inserito nell’elenco di rifiuti che la “Costruzioni Bova srl” poteva trattate ma l’impianto non era dotato dei macchinari necessari per effettuare la trasformazione del rifiuto. E in più, così come riporta il gip nell’ordinanza, i rifiuti venivano scaricati nel nudo terreno situato nei pressi del depuratore vicino all’impianto, all’interno di una buca ricavata nell’impianto e poi tombati. Gli indagati, dunque, anziché procedere allo smaltimento dei rifiuti – secondo le modalità previste dalla normativa di settore – procedevano alla creazione di una vera e propria discarica abusiva. (g.curcio@corrierecal.it)
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