«Grazie professore: in memoria di Marcello Gallo»
Era un pomeriggio d’inverno del 1989 ed il mio Maestro, Armando Veneto, mi chiamò nella sua stanza per farmi una sorpresa. Disse: ”Tu sei un giovane studioso, voglio farti un regalo. Domani devo disc…

Era un pomeriggio d’inverno del 1989 ed il mio Maestro, Armando Veneto, mi chiamò nella sua stanza per farmi una sorpresa. Disse: ”Tu sei un giovane studioso, voglio farti un regalo. Domani devo discutere una causa con Marcello Gallo a Catanzaro, dinanzi alla Corte di Assise di Appello. Andrai a prendere il Professore Gallo alla stazione di Lamezia Terme a prima mattina e lo accompagnerai fino alla sua partenza”. Non credevo alle mie orecchie ed esordii scioccamente così: ”Ma il Professore Gallo in persona? ”Certo, rispose Veneto proprio lui.” Non chiusi occhio tutta la notte. Quando furono le 5 del mattino successivo cominciai a lavare la mia polo verde metallizzato fino a renderla luccicante e profumatissima. Poi indossai il mio vestito grigio della laurea e curai molto l’aspetto. Alle 8,00 in punto ero alla stazione ferroviaria di Lamezia; un forte stridore di freni sui binari del vagon lit proveniente da Torino ed ecco era arrivato il momento. Mi tremavano i polsi, stavo per conoscere l’Allievo di Francesco Antolisei, il professore Marcello Gallo, autore dei più importanti studi sulla dottrina penale tedesca, Accademico dei Lincei, Avvocato sublime, Senatore della Repubblica e presidente della commissione parlamentare di controllo sulla riforma del codice di procedura penale del 1988. Mentre meditavo queste cose e, per la mastodontica fama del personaggio agli occhi miei di semplice giovanotto di provincia senza né arte né parte, m’aspettavo che scendesse dal treno una sorta di marcantonio… ma ecco venire verso di me un uomo piccolo di statura, in abito molto elegante di colore beige chiaro, pelle chiara, canuto, un uomo candido che mi guarda fisso negli occhi e mi dice: ”dottor Raimondi? Armando come sta?” Non so da cosa m’avesse riconosciuto, forse per quell’essermi imbellettato come per andare ad una cerimonia… Fatto si è che presi subito la valigia e lo accompagnai all’auto. Aprii la portiera come si trattasse di Wanda Osiris, lo feci accomodare e mi misi tosto alla guida. Per rompere il ghiaccio il Professore, giacché io non osavo proferir parola, avviò una conversazione sul nostro programma. “Sa a che ora la Corte chiamerà il nostro processo?”; ”non prima delle 10,00”risposi timidamente. ”Molto bene” – mi disse – “allora andiamo in un santuario mariano”. Ed intanto si guardava attorno con la curiosità di un bimbo, cercando di scorgere tutto il paesaggio d’intorno (quasi a presagire la delizia del vedere che la malattia gli avrebbe in futuro rubato per sempre…): e mi domandava di ciò che vedeva per non perdersi nulla, neanche una briciola dell’esperienza del viaggio che andava facendo. Giunti in prossimità di Catanzaro volle conoscere, in sintesi, la storia della città. Gliene dissi, come potevo, fino a che, imboccato il Corso Mazzini, mi fermai in piazza Prefettura per condurlo nella nostra Basilica dell’Immacolata, dinanzi a Maria, compatrona della città. Sostò in preghiera a lungo, quindi, usciti dalla Chiesa, ci recammo in Corte. Salì rapidamente lo scalone d’onore e sedette all’ultimo dei posti, lungo il secondo tavolo dell’Aula Ferlaino. Lo aiutai ad indossare la toga ed, in attesa che giungesse l’Avvocato Armando Veneto, lo vidi immergersi in una intensa lettura d’un piccolo libretto che aveva tirato fuori dalla sciupata borsa da lavoro. La discussione della causa fu diversa dalle tante altre che avevo udito dal mio Maestro, il quale, con stile ineguagliabile, passava dal fatto al diritto con una confidenza oratoria che non ho mai più riconosciuto in alcun altro Avvocato. Una discussione diversa perché qui prese la parola il Maestro del diritto penale, il quale, chi può dimenticarlo, tenne una lezione sul dolo. L’Aula di giustizia si trasformò in un auditorio, con tutti noi giovani a prendere appunti, avidi com’eravamo di conoscere e soprattutto consapevoli delle proporzioni. Cosa lo dico a fare… un modo oramai scomparso! Due dettagli attrassero la mia attenzione: il Professore, spostatosi per l’arringa, al primo tavolo dinanzi ai giudici, poggiò dinanzi a sé quel libretto che gli avevo visto consultare poco prima: era il Vangelo. Quando finì di discutere, dipoi, nel congedarsi dai giudici, s’inchinò col busto dinanzi alla Corte, come a consacrare l’atto di giustizia che, con la difesa, s’andava compiendo. Dopo i saluti di rito ritornammo in macchina. Il Professore sarebbe dovuto tornare a Roma nel pomeriggio ed mio Maestro lo aveva invitato a colazione. Fu un pranzo frugale perché il Professore mi aveva chiesto di poter vedere il mare sicché volle congedarsi in fretta e chiedendomi d’imboccare la strada statale tirrenica inferiore. L’aereo era in partenza per Roma alle 18,00 circa ed avevamo dinanzi a noi circa tre ore per visitare le località di mare più incantevoli della zona. Durante il viaggio in automobile era come un fiume in piena: spaziava da argomenti più accessibili di teoria generale del reato a quelli più complessi con ampi riferimenti alla dottrina tedesca, di cui era un formidabile conoscitore. Stavo lì ad ascoltare imbambolato, e non mi pareva vero d’essere con lui, noi due, come due amici, a un certo punto in riva al mare. La faccio breve: si fecero le 17,00 senza accorgercene e cominciò la mia folle corsa in auto verso l’aeroporto. Arrivammo che l’imbarco era chiuso; ero lì vicino a lui al check in quando una gentile signorina gli disse: ”mi spiace, signore, il gate è chiuso”. Lui fece per ritirarsi mentre io mi avvicinai allo sportello e feci presente che si trattava di un parlamentare e che non poteva perdere l’aereo. La signorina lo richiamò subito: ”mi scusi senatore, non sapevamo…prego s’imbarchi pure, il comandante l’attende…”. Voglio ricordare testualmente la Sua risposta: ”non si preoccupi prenderò il treno e per domattina sarò comunque in aula al Senato. Se accettassi la sua premura recherei disdoro all’istituto parlamentare”. E soggiunse: ”Andiamo Nunzio, abbiamo ancora un’oretta per chiacchierare di diritto penale”. Lo accompagnai su un treno delle sette di sera ed arrivò a Roma a tarda notte. Lasciandoci mi disse: ”dai, non perdiamoci di vista!” Mi lasciò i suoi numeri di cui feci negli anni largo uso. Negli ultimi anni era diventato irritabile, la totale cecità lo aveva sfinito sebbene, nonostante questa grave menomazione, continuasse a scrivere con l’aiuto di suoi validi e pazienti collaboratori. L’ultima volta che siamo stati insieme è stata come la prima volta: sempre in riva al mare. Non vedeva più e lo portai a mangiare un gelato sul lungomare di Reggio Calabria. Mi disse: “è una bella giornata di sole, vero? C’è qui una luce che somiglia a quella di Maria di Mezzogiorno, quella dove abiti Tu. Quanto è bello il nome di Maria di Mezzogiorno, tienilo a mente”. Oggi, a mezzogiorno ho ripensato a quelle parole di Marcello Gallo, alla luce che vedeva ad occhi chiusi; ed ho pensato che in quella luce eterna ora Egli abita per sempre ed ho gioito, una volta ancora. Addio Professore.